L'articolo sulle cambiate pubblicato su Vroom di settembre ha riscosso molto interesse nonostante fosse relativo a un argomento molto di base per l'acquisizione dati (o forse proprio per questo motivo) e così Maurizio Voltini in collaborazione con Andrea Saccucci di OIP hanno deciso di approfondirlo e pubblicarlo su Vroom di ottobre
Per ogni telemetrico e per chiunque veda i motori in termini ingegneristici, il cambio di velocità è un dispositivo che permette al motore stesso di operare nella cosiddetta "powerband", ovvero quella zona di erogazione in cui il propulsore produce la maggior coppia, la maggior spinta. Insomma, il cambio permette di ottenere le migliori prestazioni da un motore, soprattutto quando offre una curva di erogazione "appuntita" come quelli da corsa, facendo sì che la spinta motrice sia adeguata alle basse e alle alte velocità.
Ma non è tutto solo "rose & fiori": sebbene i kart di classe KZ siano forniti in origine di cambio sequenziale – si chiamano così le trasmissioni in cui si sale e si scende una marcia alla volta, dalla più corta alla più lunga in accelerazione e viceversa in frenata – che è quello più adeguato all'impiego racing (in caso di comando meccanico), l'atto della cambiata resta un esercizio fisico e mentale non indifferente, per il pilota. Non dobbiamo certo far fatica perché si capisca che, nel continuo susseguirsi di curve di un kartodromo, l'uso del cambio può diventare così frenetico da rendere difficile perfino concentrarsi sulla guida in sé.
Diversamente dai cambi servoassistiti o elettroattuati delle auto da corsa, inoltre, nel caso dei kart c'è in più l'attenzione nel dover gestire anche il gas, in cambiata, alleggerendolo in sincronia per permettere agli ingranaggi di liberarsi e ingaggiarsi; oltre alla scelta di cambiare nel miglior momento possibile. Pure sul piano dello sforzo fisico, poi, non si scherza: dover staccare una mano dal volante per cambiare, magari mentre si è ancora sotto l'effetto in curva dei G laterali, obbliga a reggere il volante solo con la mano sinistra dovendo sopportare e controllare (dobbiamo sempre mantenere la traiettoria corretta, no?) un carico non indifferente. Del resto, proprio le problematiche appena esposte sono ciò che rende adatti al karting i motori monomarcia e fa capire perché non vadano poi tanto più piano, sul giro, di quelli a marce.
COME ANALIZZARE LE CAMBIATE
Naturalmente va da sé che, dopo un po' di giornate di allenamento e test su una certa pista, si arrivi al punto "mistico" in cui il kartista prende il ritmo sul giro e le cambiate vengono fatte quasi "senza pensarci" e dunque senza rappresentare più una distrazione nell'impegno della corsa (la fatica resta, però). Ma se andassimo a girare su un'altra pista, oppure la nostra venisse modificata? In questo caso l'acquisizione dati può venire in nostro aiuto per capire meglio e più velocemente se stiamo facendo le cose giuste, ovviamente sempre in aggiunta all'osservazione del tempo sul giro: il cronometro è sempre il "giudice ultimo", però non possiamo nemmeno dimenticare che può essere condizionato da tanti fattori compresi gli errori di guida. Invece la "telemetria" può permetterci di analizzare i singoli momenti senza essere influenzati dagli altri.
Dunque, in mancanza di altri riferimenti precedenti, come è possibile fornire ai motoristi, ai preparatori e al pilota in pista le corrette informazioni per far sì che il cambio sia sfruttato nel miglior modo possibile? Il modo migliore e più semplice per cominciare è quello di prendere i dati registrati nel primo run in pista e isolare non solo un singolo giro, ma anzi un singolo rettilineo (senza influenze di curva) abbastanza lungo perché ci siano il maggior numero di cambiate possibili. Nel nostro caso (grafico 1) abbiamo estrapolato dai dati loggati una parte di circuito dove si sale dalla terza marcia fino alla sesta. Una cosa che non richiede una grande esperienza e possono fare tutti anche solo per prendere confidenza con il proprio software.
SERVE ANCHE IL BANCO
Il discorso andrebbe fatto per ciascun passaggio di marcia (ognuna è diversa) ma in questo frangente ci concentriamo sulla cambiata dalla 3ª alla 4ª (grafico 2) anche perché ci permette di fare una puntualizzazione: l'analisi migliore avviene nel caso di cambiate "pulite", e non è questo il caso, come evidenzia l'incertezza in corrispondenza dei 444 metri di pista. Ai fini del nostro discorso, per imparare comunque come procedere e capire se il punto di cambiata, ovvero gli rpm ai quali avviene il cambio di marcia, sia effettivamente il migliore o se questo possa essere ottimizzato, facciamo per adesso finta di nulla. Vediamo quindi che la cambiata tra 3ª e 4ª marcia avviene a 14.260 giri e che dopo l'innesto del rapporto superiore il motore ha un "drop" (calo di regime) fino a 12.100 giri.
A questo punto ci serve conoscere la potenza erogata dal motore stesso, cosa che qualsiasi preparatore dovrebbe sapere: l'informazione viene ricavata con qualunque banco prova dinamometrico e può essere fornita anche in formato Excel con semplici valori numerici e breackpoint (scarti) i più ravvicinati possibile (grafico 3). Come scritto nelle premesse, la cambiata ideale è quella che ti permette di mantenere il motore nella sua "zona di spinta" maggiore: se abbiamo un calo di regime di circa 2.150 giri come in questo caso, avendo a disposizione la curva di potenza del motore visualizzeremmo il tutto come l'area che questa curva occupa in quel dato range di giri. Con i dati numerici, possiamo ottenere lo stesso effetto semplicemente sommando tutte le potenze all'interno di quel dato intervallo di giri (sempre sfruttando Excel). Maggiore il risultato di questa somma (visibile in alto a destra) maggiore la spinta complessiva ottenuta dal motore. Vediamo quindi che sarebbe stato meglio cambiare a 14.200 giri, e magari anche prima: in effetti la volontà del pilota, se non avesse sbagliato la cambiata, era quella di passare di marcia a circa 14.100 giri (lo si vede anche nelle altre occasioni mostrate nel grafico 1).
CI SONO LE ECCEZIONI
Questo ragionamento può essere fatto per ciascuna marcia inserita, modificando poi sul dashboard il regime di cambiata opportuno da mostrare al pilota mentre guida. Il metodo spiegato può tuttavia mostrare dei limiti, continuando a spingere il ragionamento nel senso descritto: è quando in teoria anticipando la cambiata i numeri tenderebbero a mostrarci che sì, è meglio; però come sappiamo benissimo non sempre alla teoria corrisponde la realtà della pista. La pratica ci dice infatti che anche se dopo la cambiata saremmo a un regime di spinta ancora appropriato, in realtà non è detto sia davvero così, perché nel rapporto superiore il motore fa più fatica e quindi la spinta effettivamente ottenuta risulta inferiore a quella che avremmo avuto insistendo un poco di più nel rapporto inferiore, prima di cambiare. Per questo è meglio adottare anche un secondo metodo, rifacendosi all'accelerazione del kart: lo spiegheremo meglio sul prossimo numero di Vroom.