La pandemia ha aggravato una situazione, quella dei kartodromi meno famosi, che non va sottovalutata e in realtà rappresenta un problema per l'intero mondo del karting (di Maurizio Voltini)
Negli scorsi numeri di Vroom abbiamo parlato di come il mondo del karting non possa basarsi solo sull'attività internazionale o comunque di alto livello, se vuole davvero andare avanti (per non dire che forse è un fatto anche di sopravvivenza). Come pure di come sia importante l'attività "di zona" e la presenza il più capillare possibile sul territorio, ma anche come certe piste abbiano approfittato della sosta forzata per iniziare opere di allungamento e "riqualificazione" del tracciato. Va da sé che tutto ciò porta a pensare alle piste piccole e a (ri)valutarne l'importanza. Intendiamo quelle che non ospitano gare di rilevanza internazionale o poco meno, ma che però permettono a tanti appassionati di "scoprire" i kart e di correre o divertirsi senza allontanarsi troppo da casa.
Purtroppo, ultimamente questi kartodromi minori non se la stanno passando molto bene. E non si tratta di difficoltà degli ultimi mesi legate in particolare alla pandemia: quest'ultima ha solo aggravato una situazione che in realtà si trascina già da anni. Ovviamente si tratta di un problema più sentito nei Paesi maggiori, quelli in cui gli anni d'oro del karting (anni '80 e '90) ne avevano determinato una grande diffusione con la conseguente apertura di varie piste. Quelle nazioni dove la crisi ha causato un calo davvero sensibile, perché nei Paesi minori ci sono già poche piste e quindi l'attività si concentra lì. Che comunque non è un bene lo stesso perché la presenza agonistica in pista non viene incentivata, tanto che vediamo come i piloti di certi posti siano costretti ad andare a correre all'estero (che è poi uno dei veri motivi del successo di certe serie internazionali). Vediamo dunque di analizzare un po' più compiutamente questo problema.
EPPURE SONO SERVITE
Una volta le piste minori avevano spazio e risultavano molto attive perché permettevano ai kartisti di imparare con le giuste tempistiche e di affrontare poi meglio le successive gare più importanti in giro per il mondo. Con il calo delle categorie amatoriali, una prima flessione è stata affrontata bene grazie ai trofei monomarca, che inizialmente venivano bistrattati e non venivano ospitati sulle piste più importanti. Sappiamo tutti bene come si è poi "evoluto" il mondo del karting in generale: le categorie federali di base sono andate quasi sparendo e i piloti (quelli che hanno potuto) sono passati ai trofei di marca o ai 125 con il cambio, categorie che "guarda caso" sono quelle di maggior successo oggidì. Il tutto, però, senza che il karting ci guadagnasse nel suo complesso, perché molti smettevano e restavano a casa: chi perché non aveva la forza economica per cambiare tutto il materiale tecnico (e francamente gli avevano pure fatto passare la voglia), chi perché pur correndo già nei monomarca aveva visto improvvisamente salire a una soglia inaffrontabile il livello della competizione. Anche questo aspetto andrebbe analizzato, soprattutto per far aprire gli occhi a chi crede che siccome ci sono i trofei di marca che "salvano il salvabile", allora vada bene così…
Comunque, ciò che va considerato nel discorso attuale è che la situazione si è ribaltata: siccome le serie monomarca sono quelle che, nella normale attività nazionale, "fanno i numeri" come partecipanti, ecco che a questo punto sono loro a potersi permettere di decidere su quali piste andare a correre (attesi a braccia aperte dagli organizzatori) e quindi hanno scelto quelle più importanti e blasonate. Che hanno aggiunto questa attività a quella delle serie internazionali e alle prove titolate Cik/Fia o dei campionati nazionali. Tutto ciò ha avvantaggiato enormemente (talvolta anche al di sopra degli effettivi meriti organizzativi o del tracciato) certi kartodromi, però a scapito degli impianti minori, che a quel punto non hanno più avuto categorie di ripiego per potersi sorreggere, se non le classi Club, oppure le gare semiabusive, o ancora quelle con le moto piccole.
NON È UN PROBLEMA RECENTE
Per indagare meglio sulla questione, ci siamo consultati con i responsabili di due piste italiane minori: Massimo Wiser per la Pista Winner di Nizza Monferrato, in Piemonte, e Jesus Foschi per la pista Happy Valley di Pinarella di Cervia, in Romagna. Con quest'ultima che sarà anche "minore" dal punto di vista delle dimensioni, ma resta comunque un impianto storico visto che è in attività fin dai primi anni '60.
Purtroppo, ultimamente questi kartodromi minori non se la stanno passando molto bene. E non si tratta di difficoltà degli ultimi mesi legate in particolare alla pandemia: quest'ultima ha solo aggravato una situazione che in realtà si trascina già da anni. Ovviamente si tratta di un problema più sentito nei Paesi maggiori, quelli in cui gli anni d'oro del karting (anni '80 e '90) ne avevano determinato una grande diffusione con la conseguente apertura di varie piste. Quelle nazioni dove la crisi ha causato un calo davvero sensibile, perché nei Paesi minori ci sono già poche piste e quindi l'attività si concentra lì. Che comunque non è un bene lo stesso perché la presenza agonistica in pista non viene incentivata, tanto che vediamo come i piloti di certi posti siano costretti ad andare a correre all'estero (che è poi uno dei veri motivi del successo di certe serie internazionali). Vediamo dunque di analizzare un po' più compiutamente questo problema.
EPPURE SONO SERVITE
Una volta le piste minori avevano spazio e risultavano molto attive perché permettevano ai kartisti di imparare con le giuste tempistiche e di affrontare poi meglio le successive gare più importanti in giro per il mondo. Con il calo delle categorie amatoriali, una prima flessione è stata affrontata bene grazie ai trofei monomarca, che inizialmente venivano bistrattati e non venivano ospitati sulle piste più importanti. Sappiamo tutti bene come si è poi "evoluto" il mondo del karting in generale: le categorie federali di base sono andate quasi sparendo e i piloti (quelli che hanno potuto) sono passati ai trofei di marca o ai 125 con il cambio, categorie che "guarda caso" sono quelle di maggior successo oggidì. Il tutto, però, senza che il karting ci guadagnasse nel suo complesso, perché molti smettevano e restavano a casa: chi perché non aveva la forza economica per cambiare tutto il materiale tecnico (e francamente gli avevano pure fatto passare la voglia), chi perché pur correndo già nei monomarca aveva visto improvvisamente salire a una soglia inaffrontabile il livello della competizione. Anche questo aspetto andrebbe analizzato, soprattutto per far aprire gli occhi a chi crede che siccome ci sono i trofei di marca che "salvano il salvabile", allora vada bene così…
Comunque, ciò che va considerato nel discorso attuale è che la situazione si è ribaltata: siccome le serie monomarca sono quelle che, nella normale attività nazionale, "fanno i numeri" come partecipanti, ecco che a questo punto sono loro a potersi permettere di decidere su quali piste andare a correre (attesi a braccia aperte dagli organizzatori) e quindi hanno scelto quelle più importanti e blasonate. Che hanno aggiunto questa attività a quella delle serie internazionali e alle prove titolate Cik/Fia o dei campionati nazionali. Tutto ciò ha avvantaggiato enormemente (talvolta anche al di sopra degli effettivi meriti organizzativi o del tracciato) certi kartodromi, però a scapito degli impianti minori, che a quel punto non hanno più avuto categorie di ripiego per potersi sorreggere, se non le classi Club, oppure le gare semiabusive, o ancora quelle con le moto piccole.
NON È UN PROBLEMA RECENTE
Per indagare meglio sulla questione, ci siamo consultati con i responsabili di due piste italiane minori: Massimo Wiser per la Pista Winner di Nizza Monferrato, in Piemonte, e Jesus Foschi per la pista Happy Valley di Pinarella di Cervia, in Romagna. Con quest'ultima che sarà anche "minore" dal punto di vista delle dimensioni, ma resta comunque un impianto storico visto che è in attività fin dai primi anni '60.