Minikart: la genesi

- Speciale
A circa trent’anni dalla sua nascita, la Minikart fa più che mai parlare di sé. Scopriamone le origini insieme ad un personaggio che possiamo senza dubbio ritenere uno dei “padri fondatori”: William Santini (F. Marangon)

Nel karting contemporaneo potremmo affermare due concetti opposti tra loro e avere comunque ragione: la Minikart è una classe sopravvalutata, dove a causa della vasta presenza di preparatori è difficile individuare i veri talenti, che emergono solo nelle categorie superiori. Oppure potremmo dire che la Minikart è fondamentale, perché senza la Minikart è ormai impossibile per un giovane pilota puntare ai vertici del karting.
Le parole di Vitantonio Liuzzi, fresco membro della commissione ACI CSAI, lo hanno lasciato intendere: «La categoria più importante oggi è la 60 Minikart, mentre ai miei tempi la regina era la 100 Formula Super A», anche se va riconosciuto che in questa categoria, per il bene del karting, molte situazioni meritano l’attenzione degli organi Federali, perché la cosa non sfugga di mano. Per questo è particolarmente significativo oggi, parecchio tempo dopo, capire lo spirito che portò alla nascita di questa bellissima categoria - dato il suo grande potenziale educativo.

William Santini, classe 1948, è un classico stereotipo del genio Italico. Vulcanico, incapace di stare fermo e sempre, costantemente, orientato allo sviluppo di nuove idee da portare avanti. Comer, l’azienda fondata da Santini, costruiva tra le altre cose motoseghe ed è proprio da un motore da motosega che nasce, sulla fine degli anni ‘80, l’idea di un kart per bambini. William aveva corso con i kart come molti nell’Italia del Boom economico ed era rimasto rapito da questo sport che stimolava la sua passione per la meccanica.
«Vedevo i ragazzi in difficoltà con dei kart troppo grandi per loro – ci racconta Santini – Allora si cominciava a 14 anni e i kart erano i 100cc della categoria Cadetti. Molti facevano fatica ad arrivare ai pedali, insomma il kart non era una cosa da ragazzi: era pesante, quando capitava di fare un testacoda molti non riuscivano neppure a spingerlo per ripartire. Per questo pensammo ad un telaio “rimpicciolito”, equipaggiato con uno dei motori delle mie motoseghe. L’accensione era a strappo ma la grande novità era la frizione, che gli permetteva di rimanere acceso in caso di testacoda, così che i giovani piloti potessero riprendere la via della pista senza scendere dal mezzo e con estrema facilità.»

Quel motore, destinato a fare epoca e a cambiare per sempre il mondo del kart era un 60cc che sviluppava una potenza di circa 6 CV a 9500 giri, testa e cilindro non si potevano modificare in alcun modo. Il carburatore un Tillotson da “ventimilalire”. A renderlo adatto allo spirito con cui nasceva quel mezzo, era in particolare lo scarico cosiddetto “a bauletto”, che, qualora qualcuno avesse tentato di “fare il furbo” preparando il motore, avrebbe vanificato ogni aumento delle prestazioni. Insomma una sorta di ‘limitatore’ naturale, non elettronico.
«Io non ho inventato nulla di nuovo, ci tengo a ribadirlo. Certo, posso dire di avere dato vita alla Minikart, ma ho solo interpretato un processo naturale che questo sport avrebbe comunque preso in qualche modo. La prerogativa dei nostri mezzi, dato che cominciammo anche a costruire i telai, era il passo ridotto da 104 a 95. In questo modo i piccolini arrivavano ai pedali senza problemi. Forse fummo un po’ incoscienti, come tutti quelli che amano il motorsport, ma tant’è e iniziammo con una serie di manifestazioni per promuovere il nostro prodotto...

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