"Il karting non sia solo un business"

- Intervista
L’indimenticato pilota Renault, Toyota, Minardi, Jordan etc.. di F1, icona del karting, dice la sua su come si è evoluto un mondo che ha vissuto da pilota prima – amandolo oltre ogni cosa, e da padre, trovandolo molto diverso. A partire dalle classi per i bambini... (di Fabio Marangon – Alamy Stock Photo)

Tolto Michael Schumacher, quando pensiamo a cosa significhi “farcela con il proprio talento”, dal kart alla F1 non possiamo che pensare a Jarno Trulli, un ragazzo semplice, educatissimo e maledettamente veloce che dal kart di provincia arriva all’apice mondiale del motorsport, transitando da una carriera come pilota professionista nei kart, qualcosa che oggi viene difficile da capire. A dire il vero poi parliamo di un pilota che nei kart ha vinto parecchio più di Michael, con due titoli Mondiali al suo attivo ed una serie di indimenticati successi in tutte le categorie possibili, dalla 100 nazionale alla Formula Super A, alle categorie con il cambio. Inevitabile che si parta, pensando a come è cambiato il karting da allora, dalla Minikart, un tema sempre ‘bollente’.

«Quando ho cominciato io, il mio kart 60cc  faceva i 60 km/h, Ma in discesa, e con il vento a favore!» – scherza Jarno.  «Qui non si tratta di ‘rimpiangere i bei tempi andati’ e fare un discorso di nostalgia, altrimenti non ne parlo neanche. Io dico proprio che il karting di oggi, e le storture nascono principalmente nella classe concepita per i bambini, ha un serio problema. Non è quello che dovrebbe essere. Non ha funzioni educative, non è formativo, è un mondo a sé. »

Chiediamo a Jarno di entrare più nel dettaglio della sua visione
«Te la faccio semplice: il karting e nella fattispecie soprattutto la classe Minikart è stato trasformato in un business, punto. Uno sport dalla valenza formativa, sia personale che tecnica per chi intraprende l’automobilismo, oggi non è nient’altro che un business: la parte sportiva è a zero. Ogni scelta è finalizzata al business e la minikart è la sua forma peggiore. I bambini, e sottolineo bambini fra gli 8 e gli 11 anni, sono trattati da professionisti: non vanno più a scuola, passano la loro vita in pista, non hanno più una vita sociale. La domanda di tempo e soldi che genera il kart è insostenibile per chiunque, o meglio, lo è solo per quelli a cui viene fatto credere che tutto questo sia necessario.» Un posizione molto netta, su cui Trulli si accalora, e continua:

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