Mentre il mondo del Motorsport – e non solo – attende la sfida che alcuni reputano epocale, ci piace ricordare che quella tra Hamilton e Verstappen, oltre ad essere una svolta generazionale per la F1, è una lotta di vertice che per la prima volta vede due eccezionali kartisti come protagonisti.
Due piloti con background familiari completamente diversi che nel karting hanno fatto la differenza: le modeste origini di Lewis, raccontate fin troppe volte, e il percorso da ‘predestinato’ del primogenito di ben due piloti da corsa nel caso di Max. Due storie iniziate nei kartodromi Italiani (e dove, altrimenti..) e proseguite fino alla leggenda, due storie fatte di record e di tante, moltissime vittorie, in tutte le categorie intermedie tra le quattro ruotine e la F1. Perché Lewis e Max sono molto di più degli incidenti di Silverstone e Monza o delle tante scaramucce sul filo del regolamento del 2021. Sono due storie uniche e bellissime, per quanto diverse. Due storie uniche nel loro genere che nel karting affondano le radici: la coda del di quel glorioso karting degli anni ‘90, ancora nel cuore di molti, da cui “il ragazzino di colore sotto contratto con Ron Dennis” riuscì ad emergere dando il via a quell’idea di ‘vivaio’ che da allora è diventata consuetudine (magari in termini un po’ diversi..) per la Formula 1. Oltre al Campionato Europeo Formula A nel 2000, nello stesso anno l’inglese si aggiudicò una classica di quegli anni, la Coppa del Mondo. Max, che comincia giovanissimo e vince tutto in ogni categoria e su ogni kart sul quale sale fin dalla tenerissima età e con il suo coriaceo papà sempre al suo fianco. Vince in monomarcia (innumerevoli vittore nel WSK), vince in KZ (Europeo e Mondiale), il tutto sempre con una naturalezza e delle doti che prima ancora del debutto in Formula 1 davano da pensare che avessimo a che fare con un fenomeno. E così è stato, per entrambi, una volta alla guida di una monoposto di Formula 1, sebbene Max abbia avuto rispetto a Lewis un percorso che lo ha portato a vincere più tardi rispetto alle aspettative ma sul cui talento nessun addetto ai lavori sano di mente può mai aver avuto niente da obiettare. Giancarlo Tinini, patron di CRG, per cui entrambi hanno corso per anni, ha dichiarato in settimana al Corriere della Sera di «non poter tifare per nessuno dei due, c’è troppo affetto per entrambi » e possiamo capirlo. Grande dev’essere l’orgoglio per chi come noi ama questo sport e ha contribuito alla loro crescita personale, sportiva e professionale. Ricordando sempre dove tutto è cominciato.