La tendenza dettata dalla Formula 1 (23 gare nel 2022) ha sempre più influenza sui calendari di tutti gli sport a motore. Il karting, dal canto suo, non vive più la lunga pausa invernale di un tempo.
Spiegare il karting a persone fuori dal paddock dei kartodromi, spesso risulta difficile, iniziando proprio dal calendario, fin troppo avaro di pause. Basandosi sulla Formula 1 o altre categorie, è infatti difficile concepire una stagione che sostanzialmente vede nelle feste natalizie e nelle prime settimane di gennaio l’unico vero momento di pausa tra una stagione e l’altra.
Da ormai anni, infatti, la stagione “kartistica” internazionale ha inizio dai test invernali a metà gennaio per poi proseguire qualche giorno dopo con il primo trofeo in palio. Una sorta di escalation che porta rapidamente gli addetti ai lavori a dover fronteggiare le gare titolate senza nemmeno essersi accorti di quante “gare fredde” sono già andate in archivio. Le prime competizioni in programma, se vogliamo, fanno parte di una prima parte dell’anno valida come una sorta di Prologue (come denominava il WEC qualche tempo fa) oppure uno shakedown rallystico verso quelli che saranno i veri valori in campo.
Nell’ambito delle gare fredde è infatti lecito aspettarsi cambiamenti di gerarchie tra i costruttori, frutto di telai e assetti o componenti che si sposano meglio o peggio con le basse temperature. Discorso identico per piloti che prediligono meglio determinate condizioni, usura e uso degli pneumatici. Dal punto di vista fisico e mentale, sappiamo con certezza che il paddock non sempre apprezza l’inizio così repentino della stagione, specie per metodologie quasi diverse di lavoro in base alle temperature proibitive. Come accade in questi casi, tra organizzatori, team e iscritti, la verità sta nel mezzo. Avere una stagione lunga suddivisa in più competizioni con la stagione FIA Karting come fulcro, ha certamente i suoi vantaggi in termini economici e non solo. Col passare del tempo però, più di una voce “fuori dal coro” ha chiesto di considerare il fattore umano, quello psicologico e anche il disaccordo nello scendere in pista con temperature ai limiti dello zero per piloti inesperti come quelli della 60 Mini.
Quelle che abbiamo denominato “gare fredde” fanno parte di un discorso da trattare in modo più ampio (e che tecnicamente ha implicazioni molto rilevanti: ce ne occuperemo su questa pagine) ma sicuramente appartenenti alle nuove tendenze del karting moderno rispetto al passato. Probabilmente, la presa di posizione dei costruttori sulla scelta oculata di prendere parte a determinate - ma non tutte - competizioni ha un fondo di verità anche in questo.
Da ormai anni, infatti, la stagione “kartistica” internazionale ha inizio dai test invernali a metà gennaio per poi proseguire qualche giorno dopo con il primo trofeo in palio. Una sorta di escalation che porta rapidamente gli addetti ai lavori a dover fronteggiare le gare titolate senza nemmeno essersi accorti di quante “gare fredde” sono già andate in archivio. Le prime competizioni in programma, se vogliamo, fanno parte di una prima parte dell’anno valida come una sorta di Prologue (come denominava il WEC qualche tempo fa) oppure uno shakedown rallystico verso quelli che saranno i veri valori in campo.
Nell’ambito delle gare fredde è infatti lecito aspettarsi cambiamenti di gerarchie tra i costruttori, frutto di telai e assetti o componenti che si sposano meglio o peggio con le basse temperature. Discorso identico per piloti che prediligono meglio determinate condizioni, usura e uso degli pneumatici. Dal punto di vista fisico e mentale, sappiamo con certezza che il paddock non sempre apprezza l’inizio così repentino della stagione, specie per metodologie quasi diverse di lavoro in base alle temperature proibitive. Come accade in questi casi, tra organizzatori, team e iscritti, la verità sta nel mezzo. Avere una stagione lunga suddivisa in più competizioni con la stagione FIA Karting come fulcro, ha certamente i suoi vantaggi in termini economici e non solo. Col passare del tempo però, più di una voce “fuori dal coro” ha chiesto di considerare il fattore umano, quello psicologico e anche il disaccordo nello scendere in pista con temperature ai limiti dello zero per piloti inesperti come quelli della 60 Mini.
Quelle che abbiamo denominato “gare fredde” fanno parte di un discorso da trattare in modo più ampio (e che tecnicamente ha implicazioni molto rilevanti: ce ne occuperemo su questa pagine) ma sicuramente appartenenti alle nuove tendenze del karting moderno rispetto al passato. Probabilmente, la presa di posizione dei costruttori sulla scelta oculata di prendere parte a determinate - ma non tutte - competizioni ha un fondo di verità anche in questo.