Raffaele Giammaria è il nuovo presidente della Commissione ACI SPORT Karting Italia. In questa intervista che ci ha concesso ci ha favorevolmente impressionato per la concretezza dei suoi progetti e per la volontà di rilanciare le categorie monomarcia nazionali, da sempre cuore pulsante del karting e oggi allo sbando. Sembra proprio che ci sia l’uomo giusto al comando (finalmente). P. Mancini
Devo essere sincero: quando il Direttore mi incarica di intervistare il nuovo Presidente della Commissione Karting ACI SPORT, o qualche membro del gran consiglio dei dieci assenti, provo un profondo senso di frustrazione. Spesso e volentieri negli ultimi periodi alla guida del karting italiano ci sono state persone inadeguate, totalmente fuori da questo mondo e assolutamente incapaci di produrre un solo risultato valido negli anni, bravissimi ad occupare una poltrona senza fare nulla. Essere stato un pilota professionista non significa essere capace di fare altro nella vita…
Il risultato è stato che sono state omologate piste e kart con i quali ragazzini di 10 anni viaggiano a quasi 100 all’ora di media, sono scomparse le classi monomarcia, da sempre zoccolo duro di questo sport, e i costi sono andati alle stelle. Se chiudi la volpe nel pollaio, non puoi aspettarti che allevi galline… Così, dovendo intervistare Raffaele Giammaria in qualità di nuovo Presidente, sono stato inizialmente preso dallo sconforto: non lo conosco se non di vista in quanto ai tempi del kart ci separavano diversi anni e diverse categorie, ma mi è sempre sembrato un ragazzo estremamente serio e riflessivo.
Dopo averlo torturato per un paio di ore con domande scomode, devo dire che ho trovato di fronte a me FINALMENTE una persona preparata, consapevole delle problematiche e disposta anche a fare dei passi indietro quando la strada intrapresa non porta da nessuna parte. Giammaria non è un’ex pilota che non ha nulla da fare o che non possiede le risorse intellettuali per dedicarsi ad altro nella vita: potrebbe fare qualsiasi cosa ed è ancora in attività. Ha accettato questo difficile incarico sapendo a cosa andava incontro e conoscendone i rischi. Spero di non sbagliarmi, ma credo che stavolta abbiamo trovato la persona giusta per uscire dal fango in cui il karting italiano annaspa da troppo tempo.
Com’è cambiato il karting da quando hai iniziato a correre ad oggi?
Non è cambiato solo il karting, è cambiato tutto il motorsport e non in meglio. Mi spiego. Quando passai in Formula 3 firmai un contratto favoloso perché, pensa tu, avevo 15 giornate di test compresi nel prezzo. Oggi, invece, se non fai 60 giorni di test, non sei nessuno. E chi fa 60 giorni di test è imprendibile per chi se ne può permettere 10 o 15.
Più che cambiato il kart, è il motorsport ad essere cambiato?
Oggi si chiedono a dei bambini degli sforzi fisici e mentali che ai miei tempi non erano possibili e questo non è sempre un bene. Come Scuola Federale abbiamo commissionato un’analisi a medici specialisti che hanno analizzato lo sviluppo psicologico dei ragazzi negli intervalli di tempo tra i 6, 12 e 15 anni. Lo sviluppo è diverso e abbiamo notato come non tanto a livello fisico ma quanto a livello mentale non sia positivo metterli a guidare delle vetture cosi prestazionali. Purtroppo, a livello mondiale la situazione è questa e finché non ci si mette tutti d’accordo non possiamo tirarci indietro dal nostro compito istituzionale, quale Federazione italiana, che è quello di preparare questi giovani ad affrontare nel modo migliore tali impegni cosi’ pesanti dal punto di vista psico/fisico. C’è questa smania di bruciare le tappe, che spesso porta a bruciare dei ragazzi che a 18 anni sono piloti “finiti” e non hanno un’istruzione. Qualcosa si sta muovendo… speriamo bene, in quanto prima che diventare piloti, tali ragazzi devono maturare e diventare uomini.
Il risultato è stato che sono state omologate piste e kart con i quali ragazzini di 10 anni viaggiano a quasi 100 all’ora di media, sono scomparse le classi monomarcia, da sempre zoccolo duro di questo sport, e i costi sono andati alle stelle. Se chiudi la volpe nel pollaio, non puoi aspettarti che allevi galline… Così, dovendo intervistare Raffaele Giammaria in qualità di nuovo Presidente, sono stato inizialmente preso dallo sconforto: non lo conosco se non di vista in quanto ai tempi del kart ci separavano diversi anni e diverse categorie, ma mi è sempre sembrato un ragazzo estremamente serio e riflessivo.
Dopo averlo torturato per un paio di ore con domande scomode, devo dire che ho trovato di fronte a me FINALMENTE una persona preparata, consapevole delle problematiche e disposta anche a fare dei passi indietro quando la strada intrapresa non porta da nessuna parte. Giammaria non è un’ex pilota che non ha nulla da fare o che non possiede le risorse intellettuali per dedicarsi ad altro nella vita: potrebbe fare qualsiasi cosa ed è ancora in attività. Ha accettato questo difficile incarico sapendo a cosa andava incontro e conoscendone i rischi. Spero di non sbagliarmi, ma credo che stavolta abbiamo trovato la persona giusta per uscire dal fango in cui il karting italiano annaspa da troppo tempo.
Com’è cambiato il karting da quando hai iniziato a correre ad oggi?
Non è cambiato solo il karting, è cambiato tutto il motorsport e non in meglio. Mi spiego. Quando passai in Formula 3 firmai un contratto favoloso perché, pensa tu, avevo 15 giornate di test compresi nel prezzo. Oggi, invece, se non fai 60 giorni di test, non sei nessuno. E chi fa 60 giorni di test è imprendibile per chi se ne può permettere 10 o 15.
Più che cambiato il kart, è il motorsport ad essere cambiato?
Oggi si chiedono a dei bambini degli sforzi fisici e mentali che ai miei tempi non erano possibili e questo non è sempre un bene. Come Scuola Federale abbiamo commissionato un’analisi a medici specialisti che hanno analizzato lo sviluppo psicologico dei ragazzi negli intervalli di tempo tra i 6, 12 e 15 anni. Lo sviluppo è diverso e abbiamo notato come non tanto a livello fisico ma quanto a livello mentale non sia positivo metterli a guidare delle vetture cosi prestazionali. Purtroppo, a livello mondiale la situazione è questa e finché non ci si mette tutti d’accordo non possiamo tirarci indietro dal nostro compito istituzionale, quale Federazione italiana, che è quello di preparare questi giovani ad affrontare nel modo migliore tali impegni cosi’ pesanti dal punto di vista psico/fisico. C’è questa smania di bruciare le tappe, che spesso porta a bruciare dei ragazzi che a 18 anni sono piloti “finiti” e non hanno un’istruzione. Qualcosa si sta muovendo… speriamo bene, in quanto prima che diventare piloti, tali ragazzi devono maturare e diventare uomini.