Ragioniamo sul cambio marcia

- Telemetria
Il motore con il cambio (e le cambiate stesse) dal punto di vista dei dati: vediamo come si può intervenire in merito grazie all’analisi dei parametri in gioco - di M. Voltini e A. Saccucci

Per ogni telemetrico e per chiunque veda i motori in termini ingegneristici, il cambio di velocità è un dispositivo che permette al motore stesso di operare nella cosiddetta “powerband”, ovvero quella zona di erogazione in cui il propulsore produce la maggior coppia, la maggior spinta. Insomma, il cambio permette di ottenere le migliori prestazioni da un motore, soprattutto quando offre una curva di erogazione “appuntita” come quelli da corsa, facendo sì che la spinta motrice sia adeguata alle basse e alle alte velocità. 

Ma non è tutto solo “rose & fiori”: sebbene i kart di classe KZ siano forniti in origine di cambio sequenziale – si chiamano così le trasmissioni in cui si sale e si scende una marcia alla volta, dalla più corta alla più lunga in accelerazione e viceversa in frenata – che è quello più adeguato all’impiego racing (in caso di comando meccanico), l’atto della cambiata resta un esercizio fisico e mentale non indifferente, per il pilota. Non dobbiamo certo far fatica perché si capisca che, nel continuo susseguirsi di curve di un kartodromo, l’uso del cambio può diventare così frenetico da rendere difficile perfino concentrarsi sulla guida in sé. 

Diversamente dai cambi servoassistiti o elettroattuati delle auto da corsa, inoltre, nel caso dei kart c’è in più l’attenzione nel dover gestire anche il gas, in cambiata, alleggerendolo in sincronia per permettere agli ingranaggi di liberarsi e ingaggiarsi; oltre alla scelta di cambiare nel miglior momento possibile.
Pure sul piano dello sforzo fisico, poi, non si scherza: dover staccare una mano dal volante per cambiare, magari mentre si è ancora sotto l’effetto in curva dei G laterali, obbliga a reggere il volante solo con la mano sinistra dovendo sopportare e controllare (dobbiamo sempre mantenere la traiettoria corretta, no?) un carico non indifferente. Del resto, proprio le problematiche appena esposte sono ciò che rende adatti al karting i motori monomarcia e fa capire perché non vadano poi tanto più piano, sul giro, di quelli a marce. 

COME ANALIZZARE LE CAMBIATE 
Naturalmente va da sé che, dopo un po’ di giornate di allenamento e test su una certa pista, si arrivi al punto “mistico” in cui il kartista prende il ritmo sul giro e le cambiate vengono fatte quasi “senza pensarci” e dunque senza rappresentare più una distrazione nell’impegno della corsa (la fatica resta, però). Ma se andassimo a girare su un’altra pista, oppure la nostra venisse modificata? In questo caso l’acquisizione dati può venire in nostro aiuto per capire meglio e più velocemente se stiamo facendo le cose giuste, ovviamente sempre in aggiunta all’osservazione del tempo sul giro: il cronometro è sempre il “giudice ultimo”, però non possiamo nemmeno dimenticare che può essere condizionato da tanti fattori compresi gli errori di guida. Invece la “telemetria” può permetterci di analizzare i singoli momenti senza essere influenzati dagli altri. 

Dunque, in mancanza di altri riferimenti precedenti, come è possibile fornire ai motoristi, ai preparatori e al pilota in pista le corrette informazioni per far sì che il cambio sia sfruttato nel miglior modo possibile? Il modo migliore e più semplice per cominciare è quello di prendere i dati registrati nel primo run in pista e isolare non solo un singolo giro, ma anzi un singolo rettilineo (senza influenze di curva) abbastanza lungo perché ci siano il maggior numero di cambiate possibili. Nel nostro caso (grafico 1) abbiamo estrapolato dai dati loggati una parte di circuito dove si sale dalla terza marcia fino alla sesta. Una cosa che non richiede una grande esperienza e possono fare tutti anche solo per prendere confidenza con il proprio software. 

SERVE ANCHE IL BANCO 
Il discorso andrebbe fatto per ciascun passaggio di marcia (ognuna è diversa) ma in questo frangente ci concentriamo sulla cambiata dalla 3ª alla 4ª (grafico 2) anche perché ci permette di fare una puntualizzazione: l’analisi migliore avviene nel caso di cambiate “pulite”, e non è questo il caso, come evidenzia l’incertezza in corrispondenza dei 444 metri di pista. Ai fini del nostro discorso, per imparare comunque come procedere e capire se il punto di cambiata, ovvero gli rpm ai quali avviene il cambio di marcia, sia effettivamente il migliore o se questo possa essere ottimizzato, facciamo per adesso finta di nulla. Vediamo quindi che la cambiata tra 3ª e 4ª marcia avviene a 14.260 giri e che dopo l’innesto del rapporto superiore il motore ha un “drop” (calo di regime) fino a 12.100 giri. 





A questo punto ci serve conoscere la potenza erogata dal motore stesso, cosa che qualsiasi preparatore dovrebbe sapere: l’informazione viene ricavata con qualunque banco prova dinamometrico e può essere fornita anche in formato Excel con semplici valori numerici e breackpoint (scarti) i più ravvicinati possibile (grafico 3).
Come scritto nelle premesse, la cambiata ideale è quella che ti permette di mantenere il motore nella sua “zona di spinta” maggiore: se abbiamo un calo di regime di circa 2.150 giri come in questo caso, avendo a disposizione la curva di potenza del motore visualizzeremmo il tutto come l’area che questa curva occupa in quel dato range di giri. Con i dati numerici, possiamo ottenere lo stesso effetto semplicemente sommando tutte le potenze all’interno di quel dato intervallo di giri (sempre sfruttando Excel). Maggiore il risultato di questa somma (visibile in alto a destra) maggiore la spinta complessiva ottenuta dal motore. Vediamo quindi che sarebbe stato meglio cambiare a 14.200 giri, e magari anche prima: in effetti la volontà del pilota, se non avesse sbagliato la cambiata, era quella di passare di marcia a circa 14.100 giri (lo si vede anche nelle altre occasioni mostrate nel grafico 1). 

GUARDIAMO ANCHE L’ACCELERAZIONE 
Questo ragionamento può essere fatto per ciascuna marcia inserita, modificando poi sul dashboard il regime di cambiata opportuno da mostrare al pilota mentre guida. Il metodo spiegato può tuttavia mostrare dei limiti: è quando in teoria anticipando la cambiata i numeri tenderebbero a mostrarci che è meglio, però come sappiamo benissimo non sempre alla teoria corrisponde la realtà della pista. La pratica ci dice infatti che anche se dopo la cambiata saremmo a un regime di spinta ancora appropriato, in realtà non è detto sia davvero così, perché nel rapporto superiore il motore fa più fatica e quindi la spinta effettivamente ottenuta risulta inferiore a quella che avremmo avuto insistendo un poco di più nel rapporto inferiore, prima di cambiare. 


grafico 4

Per superare questo possibile inconveniente possiamo sfruttare i dati forniti da altri sensori montati sul kart, in particolare gli accelerometri. Il secondo metodo che suggeriamo per analizzare le cambiate consiste infatti nel leggere i dati di accelerazione longitudinale, cioè la rapidità con cui il mezzo sale di velocità. Nel grafico 4 mettiamo in parallelo i giri motore (linea rossa) con l’accelerazione (linea verde). I valori numerici e le scale sono stati volutamente omessi perché tanto si tratta di qualcosa che possiamo e dobbiamo percepire “a occhio”.
In pratica si deve vedere se dopo la cambiata il motore riesce ad avere una spinta in avanti ancora sufficiente oppure no. O, meglio, se anticipando e/o posticipando la cambiata, l’accelerazione migliora o peggiora. Ovviamente una minor accelerazione comporta una relativa perdita di velocità, e non è certo quello che vogliamo…
Nel caso specifico mostrato in grafico, è evidente come al momento di cambiare avessimo già perso accelerazione: è il caso di quando il motore “mura”, cioè supera un regime al quale la potenza cala drasticamente. Insomma, era decisamente meglio cambiare prima. 

SERVE SEMPRE METODO 
Ciò che si evidenzia bene anche in questo caso, è che serve sempre un certo metodo per arrivare a ottenere i risultati desiderati e reali miglioramenti in pista. Serve avere dati “puliti” e fare i raffronti corretti su più giri. Anche l’atteggiamento del pilota è importante, affinché due giri differenti (o addirittura due run diversi) possano essere raffrontati ottenendo un riscontro realistico. Nel caso dell’argomento in questione, provare anche a cambiare in momenti diversi giro dopo giro, può permettere di avere subito al primo run i dati per capire quale sia il modo migliore di cambiare, a quale regime nelle varie marce. 

Ma non solo, perché “l’arte della cambiata” non è tutta qui e soprattutto non avviene soltanto in rettilineo. Una volta presa confidenza con i grafici come quelli proposti, infatti, diventa poi possibile passare ad analizzare se anche nel misto abbiamo cambiato al momento giusto. Talvolta cambiare al regime teoricamente ideale ti costringe a farlo in piena curva, e non è proprio detto sia la cosa migliore. Quindi si può valutare correttamente se sia meglio anticipare o aspettare un poco, a seconda della situazione, o addirittura se sia meglio variare il rapporto finale di conseguenza, in modo da spostare il punto in cui cambiare al momento ideale senza compromettere la guida. Non dobbiamo mai dimenticare che spesso il rettilineo veloce è uno solo, mentre le situazioni particolari nella parte guidata di una pista possono essere parecchie. 
Il telemetrico (o comunque il saper “leggere” certi dati) in questi casi può essere grandemente d’aiuto nell’indirizzare verso le giuste scelte, confermando (o no) le sensazioni del pilota e suggerendo dove e come si possa guadagnare qualche ulteriore centesimo alla volta. Del resto, è proprio ciò che succede anche in Formula 1, quando piloti e ingegneri di pista dialogano tra loro via radio in diretta in merito alle cambiate in certe particolari curve. 

La pubblicazione di questo servizio è stata possibile grazie alla sponsorizzazione della Starlane
 

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