Il paradosso della filiera

- Editoriale
Gli addetti ai lavori avevano da subito previsto che l’arrivo di Verstappen in Formula 1 a soli 17 anni sarebbe stato lo spartiacque. Che avrebbe dato il via ad una stagione del Motorsport di vertice che ancora non avevamo conosciuto e il cui ‘effetto Tsunami’ sta ancora facendosi sentire, incollato com’è al destino del pilota Olandese, sia rispetto all’inizio della carriera che alla sua fine...(F.M.)

Max Verstappen è suo malgrado, volente o nolente, è il simbolo vivente (non più il solo, forse, ma sicuramente il più riconoscibile) di una nuova fase della filiera degli sport a 4 ruote che unisce il karting alla Formula 1. E quindi la carriera stessa del ragazzo – non entreremo qui nel merito se il Mondiale sia arrivato più tardi di quanto ci si aspettasse – non può essere esente da valutazioni che rischiano di influire su tutto il nostro mondo. Perché? starete chiedendovi. Perché è tutto dannatamente collegato: a volte non è semplice unire i puntini che creano la sempre più variegata ed articolata immagine d’insieme che la Formula 1 ha oggi, con il suo raggio d’azione sempre più ampio: pensate al legame tecnico-sportivo-regolamentare che unisce le formule minori, dalla F4 alla F2 in termini di formazione ‘progressiva’ del pilota con potenze crescenti da una categoria all’altra con un filo conduttore che raramente potrebbe prevedere, per chi aspira a quel benedetto sedile in F1, percorsi ‘alternativi’ (leggi: altre categorie propedeutiche). E perciò dalle categorie di vertice del kart (mai meno delle gare CIK FIA, sia chiaro: fuori da questo olimpo non esiste chance) si passa in Formula 4 già prima dei 15 anni per poi lasciare che l’ufficio anagrafe decida del vero e proprio debutto in gara – che avviene come sapete dopo innumerevoli giornate di test – a porte chiuse o meno a seconda di cosa decide l’ufficio stampa del pilota in erba.

Da lì, in un crescendo di budget, che spesso vede come prima vittima il talento stesso, si sale, fino alla possibilità di gareggiare nella serie cadetta – che da qualche anno pare avere trovato una sua identità sia formativa che selettiva dopo lo ‘svarione’ dei primi anni dopo il 2000. In sostanza chi va forte qui, può andare forte in Formula 1 anche se il salto verso la categoria Top a quel punto è influenzato da fattori che vanno bel oltre l’ “andar forte” (vedi Oscar Piastri, di fatto in stato di inattività in questo 2022 o il “caso Nick Devries”). Con queste premesse, va da sé che le parole di Max Verstappen sulla possibilità che allo scadere del contratto con Red Bull (2028) questi possa ritirarsi (dopo 11 anni di Formula 1 praticamente con lo stesso Team) vadano in direzione di un enorme paradosso. Il paradosso di una disciplina che da un lato forma piloti sempre più giovani ad uno sport ‘adulto’ che assai presto si ritirano dallo sport perché stufi di girare per il mondo e reggere quei livelli di stress. E’ un fenomeno non del tutto nuovo nello sport professionistico, come dimostra Ash Barty, 25 anni, numero 1 del tennis femminile Mondiale, ritiratasi ufficialmente a meno di due mesi dal trionfo nell’Australian Open o Casey Stoner, il cui addio fu forse più problematico o ancora, per gli amanti del nostro sport, Nico Rosberg, che decise di lasciare a 31 anni (l’età che avrà Max nel 2028 n.d.r.) all’indomani del Mondiale vinto sul rivale di sempre Hamilton. I tratti del paradosso ci sono tutti a ben vedere: c’è la contraddizione. Uno sport nato per adulti, il karting, praticato da bambini e che per questo ha visto incrementare i suoi costi che invece avrebbero dovuto, nelle premesse sotto le quali è nato, essere contenuti. Già, direte: ma lo facciamo praticare ai bambini perché si formino il prima possibile a guidare delle auto da corsa ad altissime prestazioni e quale modo migliore di farlo se non nel karting? Certo: peccato che in molti casi, per raggiungere lo scopo con precocità, ne risenta la formazione stessa dei ragazzi, sotto tanti (tutti?) gli aspetti che ne formano la personalità.

I ragazzi molto spesso saltano la scuola, seguono corsi speciali, vivono un universo parallelo. Viaggiano, corrono, viaggiano, corrono: dall’età di 6-7 anni fino ai 15. Da gennaio a dicembre e di nuovo, un anno dopo l’altro, fino a quando, alle porte della maturità, la chimera di una carriera da professionista li porta ad intraprendere un nuovo percorso, fatto nuovamente di voli aerei, gare, test, voli aerei e via di questo passo. Non è difficile capire perché alla soglia dei 30 anni un pilota che pure ha centrato tutti gli obiettivi (qui non consideriamo tutti quelli che, con più o meno impatto sulle loro vite, ad un certo punto si sono fermati, spesso dopo aver prosciugato le risorse familiari) possa dirsi ‘stanco’ e pensi di dedicarsi ad altro. Il punto è che verrà considerato un addio anticipato, che c’era ancora tanto da vincere e che “ci sono sicuramente altri problemi”: non scopriamo oggi come il sistema della Formula 1 sia cinico e dia pochissimo spazio per mostrare il proprio valore. Non si sforza di comprendere le ragioni di chi lascia quando è liberissimo di farlo perché magari ha vinto uno o più Mondiali, ha corso alla grande per anni ed è entrato nel cuore dei tifosi, pensate a quale tritacarne possa diventare per chi non raggiunge nessuno di questi obiettivi ma semplicemente, ad un certo punto, semplicemente ‘non ne ha più voglia’. Il paradosso è nella filiera perché per come è costituito l’insieme, semplicemente non c’è spazio per tutti: i contratti – giustamente – pluriennali delle squadre di Formula 1 non lasciano un grande spazio ai newcomers, per quanto potenziale dimostrino, e le scelte di molti “big player” della Formula 1 sono contrarie alla logica (altro elemento dei paradossi).

Vi chiediamo solo di pensare ad un marchio molto noto che arruola ad oggi decine di piloti in ogni categoria (dopo averne bruciate altrettante decine), dal kart alla Formula 2, che rinnova il contratto di un pilota alla sua undicesima stagione di Formula 1, un pilota che non ha mai fatto parte del suo Junior Program, per pagarlo 10 Milioni l’anno per i prossimi due anni. E sia chiaro, questo non è l’attacco ad un onesto “operaio” della griglia (questo era Perez prima di passare in Red Bull) che pure può aver dimostrato qualcosa in questi due anni, ma un colpo quasi mortale – dimostrateci il contrario – a come è concepito questo sport dall’alto verso il basso. I piloti – molti di questi fortissimi - fermi al palo o che hanno optato per soluzioni di ripiego sono sempre di più, e la Formula 1 ha pochissimi posti potenzialmente liberi per il 2023 (al momento in cui scriviamo 7, ma difficile pensare che siano più di 4, alla fine). Se Alonso (42 anni nel 2023) infatti, com’è prevedibile, dovesse rinnovare, a questo seguiranno con tutta probabilità i rinnovi di Tsunoda e Albon nei rispettivi Team. A quel punto, salvo colpi di scena, i posti che realisticamente potrebbero liberarsi sono quello di Latifi in Williams e Zhou in Alfa, se la Haas decidesse di “graziare” il rampollo di casa Schumacher, la cui popolarità dopo Silvesrtone ha iniziato a salire un po' dopo la graticola che abbiamo ben descritto qui sopra. In questo scenario, l’ondata di piloti in continuo arrivo dalla filiera – che non accenna ad arrestarsi – genererà un effetto che siamo curiosi di scoprire...
 

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