Che siano impressionanti o meno, nel karting abbiamo imparato a convivere con gli incidenti, inevitabile conseguenza di uno sport la cui evoluzione tecnica – di pari passo alla presenza di nuovi e più veloci circuiti – ha portato ad un notevole incremento delle prestazioni e quindi ad una diversa tipologia di incidente. Siamo stati in visita da CSI-Spa, il centro di test accreditato FIA per scoprire come funzionano i crash test che la Federazione Internazionale obbliga i costruttori ad eseguire per omologare paraurti e carenature (F.M.)
Il tema delle carenature nel karting è da sempre un tema caldo. Divisivo, anche per alcune sue implicazioni regolamentari e sportive, ma che vede posizioni molto eterogenee sia nel paddock che tra nuove e vecchie leve del karting. Un tema trasversale, che interessa nello stesso tempo i piloti, i costruttori, le federazioni e non ultimi, gli esecutori materiali dei test che classificano come idoneo un dispositivo o meno, partendo dal presupposto che il kart è un mezzo unico nel suo genere, su cui non è possibile trasferire il lavoro fatto nell’ambito delle monoposto, che pure sono parte della stessa filiera, dalla Formula 4 alla Formula 1. Il kart è lì, appena un gradino sotto, anche se parliamo di un mezzo che ha strutturalmente poco in comune con una moderna auto da corsa.
La natura del mezzo
Il karting è uno sport, seppure a quattro ruote, “ibrido” tra il motociclismo e l’automobilismo, dal punto di vista dell’apertura del mezzo e dell’esposizione del pilota. L’idea di crash test presente nell’immaginario comune rimanda forse a delle forme di test di una qualche forma di “cellula protettiva” che invece, per sua stessa natura, il kart non sarà mai. E’ proprio il fatto di prevedere il pilota come “parte integrante” del mezzo – come un motociclista lo è per una motocicletta – a rendere questi test diversi da quelli che si eseguono per i veicoli. In relazione alle carenature quindi, non possiamo pensare che abbiano un ruolo principalmente ‘preservativo’ dell’integrità fisica del pilota, ma semplicemente limitativo delle energie in gioco nel caso di un urto, che questo avvenga contro una superficie rigida o altri mezzi in corsa.
La tipologia di test
Si parte dalla direttiva FIA, ovviamente, contenuta nel testo FIA Règlement d’Homologation/Homologation Regulations (Latest update: 01.02.2021) scricabile da chiunque sul sito della Federazione. Partendo dal bumper (il paraurti frontale), si iniziano ad eseguire i test montando il paraurti per mezzo di un apposito fissaggio – di cui la Federazione sancisce le specifiche – su un carrello (trolley) del peso di circa 230 Kg che viene ‘lanciato’ alla velocità circa 10 km/h contro un muro rigido in modo che il solo paraurti e il suo attacco “lavorino” nell’assorbimento dell’urto. Questa tipologia di test è detta “Test Dinamico”: ovvero lanciare un oggetto, facendolo muovere, contro un ostacolo fermo.
E’ pertanto la combinazione degli elementi “bumper+attacco” che viene sottoposta al test, dato che nel momento in cui si raggiunge la massima deformazione e la scocca viene coinvolta, a quel punto l’energia sarebbe direttamente sul pilota (che ricordiamolo è parte integrante del mezzo, quindi, energia sulla scocca = energia sul corpo del pilota). Lo scopo del test è misurare il picco di decelerazione che il corpo subisce, che deve essere tenuto il più basso possibile nella prima parte dell’urto, così che possano essere valutati DEFORMAZIONE e SPOSTAMENTO degli elementi deputati all’assorbimento dell’energia: il paraurti e il suo supporto. La norma FIA prevede che venga applicata un’energia di circa 920 Joule con una tolleranza di +- 30J così da fornire dei dati significativi nel valutare la capacità del paraurti di dissipare ed assorbire la maggiore energia possibile (parliamo di valori di decelerazione che devono essere inferiori o uguali a 15G). Lo scopo è di tenere il più basso possibile il picco di decelerazione (più alto è questo picco, maggiore è l’impatto dell’urto sul pilota) e contenere, per rientrare nei parametri della norma, uno spostamento del paraurti di massimo, nel caso del kart, di 40 mm (4 centimetri!). Per essere più chiari: il paraurti, nell’urto può “rientrare” nel senso di deformarsi -per poi magari tornare in posizione. Questo suo rientrare deve garantire che ci siano sempre, comunque, almeno 40 mm dal telaio – e quindi dal pilota.
Il criterio di valutazione è simile a quello usato per le monoposto, o meglio: i dati vengono interpretati grossomodo nella stessa maniera, perché l’obiettivo è quello di preservare gli arti inferiori del pilota. E’ ovvio comunque che nel kart si parla di un mezzo che per via delle sue ridotte dimensioni ha meno possibilità di dissipare rispetto alla cellula di una monoposto – dove lo spazio a disposizione per l’assorbimento dell’urto – che tiene basso il picco di decelerazione – è decisamente maggiore.
Considerazioni sul tipo di test
La base su cui questi test vengono basati è l’accidentology (la “scienza degli incidenti”) che è una scala in base alla quale si definiscono gli standard di prova e rimane la miglior base possibile, dato che l’archivio degli incidenti cresce ogni anno e fornisce nuove possibilità di valutare eventuali rischi che non erano stati considerati. Come ogni test di laboratorio, quelli effettuati da CSI devono essere riproducibili e ripetibili, perché questo è lo scopo dei laboratori: fornire dati in base alle regole. Per questa ragione, un responsabile FIA è quasi sempre presente in occasione dei test, che si concludono con l’omologa delle carenature o con la richiesta di ripetere i test per poter rientrare nei parametri stabiliti dalla Federazione. Stesso dicasi per paraurti posteriore carenature laterali (un tempo chiamate “pance”: va detto infatti che il crash test viene eseguito pensando al peggior scenario possibile: quello di un mezzo che urta qualcosa di indeformabile e saldamente ancorato al terreno, un cosìddetto muro rigido, di gran lunga peggiore come situazione della peggiore che potremmo ipotizzare in pista.
Non dobbiamo dimenticare che nella tipologia di incidente che spesso capita di vedere in pista, quando per esempio un kart in testacoda viene urtato – anche se in velocità – da un altro kart, le energie in gioco sono decisamente inferiori a quelle di un crash test di laboratorio in quanto molta dell’energia viene dissipata dai mezzi che sono appunto, in movimento e che (fortunatamente) assorbono, così come in parte il pilota, solo una piccola parte dell’energia. Pensando all’incidente di Bondarev a Zuera, per esempio, in cui i kart si sono scontrati frontalmente, possiamo ritenere che il paraurti abbia certamente dato il suo contributo nell’assorbimento dell’urto ma che nello stesso tempo, alcuni incidenti per come si sviluppano comportano e comporteranno, talvolta, delle conseguenze fisiche. Parliamo di un mezzo per la cui sicurezza intrinseca si è fatto molto in questo ultimi vent’anni e a dispetto di chi si dice totalmente contrario alle protezioni in “plastica gonfiata” , noi pensiamo che i kart di oggi siano parecchio più sicuri che in passato. Quando diciamo “una volta senza i paraurti (anteriore e posteriore) sapevi che rischiavi i piedi e pertanto di pensavi due volte prima di fare una stupidaggine” stiamo affrontando il problema dal verso sbagliato, perché confondiamo la condotta di gara e la correttezza dei piloti con la sicurezza del mezzo. I paragoni tra le diverse epoche sono sterili e non è su questo genere di paralleli che, per fortuna, si è fermata la ricerca: in tante cose oggi, data l’evoluzione tecnica, si è meno attenti che in passato proprio a causa delle minori conseguenze in caso di errore ma davvero lasciare che i ragazzi (o adulti che siano) si facciano inutilmente del male in pista è il modo migliore per educarli alla lealtà sportiva? Il lavoro sulla sicurezza non si ferma mai, come dimostrano i dati dei centri come CSI, che danno alle norme il senso che gli spetta. Il resto del lavoro sulla sicurezza e sul rispetto dell’avversario, soprattutto quello nella testa dei piloti, possiamo continuare a farlo senza che quello sui mezzi e sulle piste si fermi.
La natura del mezzo
Il karting è uno sport, seppure a quattro ruote, “ibrido” tra il motociclismo e l’automobilismo, dal punto di vista dell’apertura del mezzo e dell’esposizione del pilota. L’idea di crash test presente nell’immaginario comune rimanda forse a delle forme di test di una qualche forma di “cellula protettiva” che invece, per sua stessa natura, il kart non sarà mai. E’ proprio il fatto di prevedere il pilota come “parte integrante” del mezzo – come un motociclista lo è per una motocicletta – a rendere questi test diversi da quelli che si eseguono per i veicoli. In relazione alle carenature quindi, non possiamo pensare che abbiano un ruolo principalmente ‘preservativo’ dell’integrità fisica del pilota, ma semplicemente limitativo delle energie in gioco nel caso di un urto, che questo avvenga contro una superficie rigida o altri mezzi in corsa.
La tipologia di test
Si parte dalla direttiva FIA, ovviamente, contenuta nel testo FIA Règlement d’Homologation/Homologation Regulations (Latest update: 01.02.2021) scricabile da chiunque sul sito della Federazione. Partendo dal bumper (il paraurti frontale), si iniziano ad eseguire i test montando il paraurti per mezzo di un apposito fissaggio – di cui la Federazione sancisce le specifiche – su un carrello (trolley) del peso di circa 230 Kg che viene ‘lanciato’ alla velocità circa 10 km/h contro un muro rigido in modo che il solo paraurti e il suo attacco “lavorino” nell’assorbimento dell’urto. Questa tipologia di test è detta “Test Dinamico”: ovvero lanciare un oggetto, facendolo muovere, contro un ostacolo fermo.
E’ pertanto la combinazione degli elementi “bumper+attacco” che viene sottoposta al test, dato che nel momento in cui si raggiunge la massima deformazione e la scocca viene coinvolta, a quel punto l’energia sarebbe direttamente sul pilota (che ricordiamolo è parte integrante del mezzo, quindi, energia sulla scocca = energia sul corpo del pilota). Lo scopo del test è misurare il picco di decelerazione che il corpo subisce, che deve essere tenuto il più basso possibile nella prima parte dell’urto, così che possano essere valutati DEFORMAZIONE e SPOSTAMENTO degli elementi deputati all’assorbimento dell’energia: il paraurti e il suo supporto. La norma FIA prevede che venga applicata un’energia di circa 920 Joule con una tolleranza di +- 30J così da fornire dei dati significativi nel valutare la capacità del paraurti di dissipare ed assorbire la maggiore energia possibile (parliamo di valori di decelerazione che devono essere inferiori o uguali a 15G). Lo scopo è di tenere il più basso possibile il picco di decelerazione (più alto è questo picco, maggiore è l’impatto dell’urto sul pilota) e contenere, per rientrare nei parametri della norma, uno spostamento del paraurti di massimo, nel caso del kart, di 40 mm (4 centimetri!). Per essere più chiari: il paraurti, nell’urto può “rientrare” nel senso di deformarsi -per poi magari tornare in posizione. Questo suo rientrare deve garantire che ci siano sempre, comunque, almeno 40 mm dal telaio – e quindi dal pilota.
Il criterio di valutazione è simile a quello usato per le monoposto, o meglio: i dati vengono interpretati grossomodo nella stessa maniera, perché l’obiettivo è quello di preservare gli arti inferiori del pilota. E’ ovvio comunque che nel kart si parla di un mezzo che per via delle sue ridotte dimensioni ha meno possibilità di dissipare rispetto alla cellula di una monoposto – dove lo spazio a disposizione per l’assorbimento dell’urto – che tiene basso il picco di decelerazione – è decisamente maggiore.
Considerazioni sul tipo di test
La base su cui questi test vengono basati è l’accidentology (la “scienza degli incidenti”) che è una scala in base alla quale si definiscono gli standard di prova e rimane la miglior base possibile, dato che l’archivio degli incidenti cresce ogni anno e fornisce nuove possibilità di valutare eventuali rischi che non erano stati considerati. Come ogni test di laboratorio, quelli effettuati da CSI devono essere riproducibili e ripetibili, perché questo è lo scopo dei laboratori: fornire dati in base alle regole. Per questa ragione, un responsabile FIA è quasi sempre presente in occasione dei test, che si concludono con l’omologa delle carenature o con la richiesta di ripetere i test per poter rientrare nei parametri stabiliti dalla Federazione. Stesso dicasi per paraurti posteriore carenature laterali (un tempo chiamate “pance”: va detto infatti che il crash test viene eseguito pensando al peggior scenario possibile: quello di un mezzo che urta qualcosa di indeformabile e saldamente ancorato al terreno, un cosìddetto muro rigido, di gran lunga peggiore come situazione della peggiore che potremmo ipotizzare in pista.
Non dobbiamo dimenticare che nella tipologia di incidente che spesso capita di vedere in pista, quando per esempio un kart in testacoda viene urtato – anche se in velocità – da un altro kart, le energie in gioco sono decisamente inferiori a quelle di un crash test di laboratorio in quanto molta dell’energia viene dissipata dai mezzi che sono appunto, in movimento e che (fortunatamente) assorbono, così come in parte il pilota, solo una piccola parte dell’energia. Pensando all’incidente di Bondarev a Zuera, per esempio, in cui i kart si sono scontrati frontalmente, possiamo ritenere che il paraurti abbia certamente dato il suo contributo nell’assorbimento dell’urto ma che nello stesso tempo, alcuni incidenti per come si sviluppano comportano e comporteranno, talvolta, delle conseguenze fisiche. Parliamo di un mezzo per la cui sicurezza intrinseca si è fatto molto in questo ultimi vent’anni e a dispetto di chi si dice totalmente contrario alle protezioni in “plastica gonfiata” , noi pensiamo che i kart di oggi siano parecchio più sicuri che in passato. Quando diciamo “una volta senza i paraurti (anteriore e posteriore) sapevi che rischiavi i piedi e pertanto di pensavi due volte prima di fare una stupidaggine” stiamo affrontando il problema dal verso sbagliato, perché confondiamo la condotta di gara e la correttezza dei piloti con la sicurezza del mezzo. I paragoni tra le diverse epoche sono sterili e non è su questo genere di paralleli che, per fortuna, si è fermata la ricerca: in tante cose oggi, data l’evoluzione tecnica, si è meno attenti che in passato proprio a causa delle minori conseguenze in caso di errore ma davvero lasciare che i ragazzi (o adulti che siano) si facciano inutilmente del male in pista è il modo migliore per educarli alla lealtà sportiva? Il lavoro sulla sicurezza non si ferma mai, come dimostrano i dati dei centri come CSI, che danno alle norme il senso che gli spetta. Il resto del lavoro sulla sicurezza e sul rispetto dell’avversario, soprattutto quello nella testa dei piloti, possiamo continuare a farlo senza che quello sui mezzi e sulle piste si fermi.