Com’è cambiata la grafica dei caschi: intervista a Gianluca Croci di Kaos Design

- Focus
L’occasione per incontrare uno dei pionieri Italiani della grafica nel Motorsport è quella del nuovo casco con i colori di Vroom: ci siamo fatti raccontare l’evoluzione di un elemento di cui in pochi ormai possono fare a meno. (F.M.)

Nella cultura Siberiana è vietato fare domande sui tatuaggi, perché i tatuaggi hanno a che fare con chi sei, con la storia della tua famiglia, con la natura stessa della tua vita. Per questa ragione, una decina d’anni fa, un noto scrittore di quelle zone non nascose il suo sgomento nello scoprire che quella pratica così significativa come il tatuaggio, che da sempre aveva caratterizzato il suo immaginario, fosse ridotta ad un catalogo da sfogliare annoiati mentre si attende il proprio turno da uno dei mille tatuatori spuntati fuori come funghi negli ultimi vent’anni, periodo di massima ascesa del tatuaggio su scala globale. Viene semplice un parallelo con il modo in cui abbiamo visto crescere la popolarità dell’helmets design. Da più o meno venticinque anni, sulla falsariga delle formule maggiori, anche nel kart si sono costruiti un nome molti designer che hanno iniziato a colorare le teste sempre “troppo bianche” dei piloti in pista: dalle prime grafiche molto basiche, con qualche riferimento alla bandiera del paese di origine o alle proprie iniziali, a grafiche sempre più complesse e sempre meno ‘ideate al 100% dal pilota’, ma sempre più rispondenti ad un modello “di mercato”. Dal tema sono escluse le ‘repliche’, che per un periodo sono state una vera e propria moda (quanti caschi Senna Replica abbiamo visto nel corso degli anni ‘90/2000?) ma che ora si vedono sempre meno di frequente, anche perché gli stessi vertici della Formula 1, con le multigrafiche e gli obblighi nei confronti degli sponsor , hanno smesso di essere così rappresentativi e unici nei colori. Il pretesto per parlarne con uno dei designer più noti non solo nel campo del motorsport, Gianluca Croci di Kaos Design, è stata la richiesta di personalizzare il casco con cui mi cimento in pista in qualche gara e nel tempo libero, un casco che potesse rappresentare qualcosa di me, della mia rivista, del mio amore per questo sport e della mia personale storia d’amore per il karting. Un casco che non fosse “scelto da un catalogo” o semplicemente “lo voglio come quello del pilota che ho visto su Instagram”.

«In principio erano gli Americani – esordisce Gianluca – ovvero qualcuno che si mise a fare sui caschi cose mai viste, regalando ad ogni pilota la possibilità di essere riconoscibile, e questo in qualunque disciplina motoristica: Cross, Formula, Rally. Ma poi presto la customizzazione diviene seriale, e anche i grossi nomi del periodo (parliamo del periodo a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 – periodo in cui nasce Kaos Design) iniziano a commercializzare i kit di adesivi...»
Facci capire meglio: come si passa da grafiche uniche ad un prodotto di ‘mercato’, quindi poco ‘personale’?
«Va fatta una premessa: da un lato parliamo di qualcosa di creativo, di colori e di grafiche, ma dall’altro stiamo descrivendo un meccanismo imprenditoriale. Il design di caschi – ma non solo caschi – non è cosa per amatori o meglio: standardizzare le grafiche permette di creare la base perché il business stia in piedi quindi non parliamo di qualcosa di necessariamente ‘negativo’. Ci sono delle tendenze che un bravo designer sa interpretare e poi ovviamente ci sono fattori esterni che influenzano le richieste che ricevi. Prendi i caschi di Senna, Mansell, i piloti idoli delle folle di quando ho cominciato, quei caschi li riconoscevi in una frazione di secondo. Era normale, all’epoca, aspettarsi che un giovane pilota – magari di kart – chiedesse una grafica ispirata a quelle di quei piloti, essenziali, riconoscibili. Pensa al vertice della piramide oggi: i caschi degli stessi piloti di Formula 1 sono poco riconoscibili, fatta qualche piccola eccezione, ed è normale che questo a cascata sull’intera ‘filiera’ del design di caschi, fino ai giovanissimi – o agli amatori – del karting. E infine non si può trascurare che ormai gli sponsor hanno stravolto completamente il nostro lavoro: se al casco di un professionista togli lo spazio che questi hanno riservato, cosa rimane per lavorare su colori e linee?»
Già. Ai livelli più alti ormai i piloti hanno livree – decise spesso dallo sponsor – diverse per ogni GP e allora addio ‘riconoscibilità’..
«Su questo ho un aneddoto divertente. Qualche anno fa, come Kaos Design decidemmo (pur avendo vari piloti F1 nel nostro parco clienti) di rompere con la FIA quando Ecclestone decise che la grafica dei caschi avrebbe dovuto essere ‘presentata ufficialmente’ a inizio anno per regolamento senza poter essere modificata nel corso dell’anno di gare. Noi, che avevamo praticamente “ideato” la personalizzazione gara per gara, decidemmo che quel taglio regolamentare al nostro lavoro fosse un affronto e lasciammo quel palcoscenico. Fa un po’ sorridere pensare che oggi, con una gestione molto più concentrata sulla parte “spettacolo” della Formula 1, le grafiche personalizzate rispetto all’evento siano diventate uno standard. Pensa che all’epoca uno dei nostri caschi venne “censurato” dal presidente del Venezuela in persona.. tanto ci piaceva usare la creatività anche per provocare (Kaos Design era il designer di Pastor Maldonado, allora pilota Williams – risate – n.d.r.)…
Luca Croci da davvero l’impressione di essere un “banksy” del Motorsport, anche se conciliare l’aspetto imprenditoriale con la sicurezza non è uno scherzo, anzi.
«Non vanno dimenticate due cose: la prima è che il casco salva la vita dei piloti, dato che dentro ci metti quello che hai di più prezioso nella vita, la tua testa. La seconda è che in qualche modo il lavoro deve essere semplificato per poter fornire il prodotto nei tempi giusti: né troppo veloce – un casco personalizzato richiede tempo, soprattutto perché la sua integrità non venga compromessa – né troppo lenta: il pilota ne ha bisogno per correre soprattutto, poche grafiche, poco business. Questi fattori hanno anch’essi influito sulla natura delle grafiche di oggi: una base ‘standard’ (quelle che a noi sembrano ‘tutte uguali’ n.d.r.) permette di velocizzare il processo di verniciatura che credimi, richiede molto tempo se fatto a regola d’arte. Che poi questo sia un settore dove molti hanno iniziato ad operare negli anni è fuori di dubbio, ed è anche per quello che vedi tante grafiche tutte molto simili. Il processo di verniciatura si è in qualche modo standardizzato per permettere ai bravi designer di sostenere la concorrenza dei tanti che, meno strutturati e focalizzati solo sui caschi, operano in un mercato ormai abbastanza ‘libero’, ma attenzione, tornando al problema sicurezza, dentro al casco ci metti la testa.
La verniciatura di un casco potrebbe danneggiarlo e renderlo ‘meno sicuro’? E’ questo che intendi?
Facciamola semplice: fare più velocemente possibile un lavoro è il problema di tutti. Volendo, si possono ridurre all’osso le fasi di lavorazione. Fondo, colore, trasparente, che sono poi le tre fasi di lavorazione della verniciatura nell’automotive. Dal canto nostro, noi lavoriamo con i criteri della verniciatura industriale: primer, stucchi espossidici, fondi colorabili, colore, trasparenti performanti e ritardanti di fiamma (richiesti da SNELL). Un casco viene completamente smembrato, si toglie tutto e si butta per poi sostituire con parti nuove, guarnizioni, eventuali parti del sistema di ventilazione. La calotta di ‘polistirolo’ viene rimossa durante la lavorazione, dato che le alte temperature dei forni potrebbero danneggiarla irreparabilmente, così come i solventi con cui potrebbero entrare in contatto. Questa dovizia di lavorazione permette di tenere bassi i pesi con cui la verniciatura andrà ad influire sul peso finale del casco e tutti sanno quanto anche pochi grammi possano condizionare la prestazione del casco stesso. Una verniciatura completa nel nostro caso ha un peso medio di circa 25-30 grammi: ti assicuro – o meglio i nostri piloti lo assicurano - che la differenza si sente.
Ma quindi è ancora possibile ‘distinguersi’ grazie alla grafica del proprio casco?
«Ovviamente non possiamo essere estremisti, come detto prima, il mondo è cambiato, il nostro mondo è cambiato e quindi oggi quello che vedi in pista è generalmente quello che viene richiesto al designer di fare, spesso su isprirazione di altri caschi visti in testa ad altri piloti. Sono diversi i riferimenti da cui si “copia” – i piloti “al top” - e quindi oggi è spesso da quei riferimenti che si parte: non lavorare su certe richieste taglierebbe fuori un gran numero di piloti (che per noi sono clienti) e quindi in questa fase, la ‘moda’ passami il termine, è questa. Tuttavia è ancora bello lavorare sui caschi, che per noi sono comunque una piccola parte del lavoro che facciamo, e sentirsi dire dal pilota che ti affida il suo casco “stupiscimi”. Infatti, io NON faccio quello che la gente mi chiede, perché generalmente la gente mi chiede quello che io So fare. »
 
In uno dei prossimi articoli scopriremo come si svolge, passo-passo, la lavorazione di un casco in verniciatura. Stay tuned...


 

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