Simo Puhakka

- Intervista
Il finlandese, ad un passo dalla conquista del Mondiale nell'ultima gara in carriera, ci racconta della sua lunga militanza nel karting e di cosa si prova nel trasformare la propria passione in un lavoro.

Abbiamo incontrato il 34enne pilota finlandese che alla vigilia del Mondiale KZ ha deciso di annunciare il proprio ritiro. Una lunga carriera che gli è valsa il rispetto di tutto il paddock e che per poco a Le Mans non si è chiusa in modo straordinario...

Raccontaci come hai maturato la decisione di smettere come pilota: è stata una decisione sofferta o l’hai presa con serenità? 
La decisione l’ho presa con calma, durante la stagione. Il mio feeling era che per rimanere al Top in questo sport ci vuole molto allenamento, molto impegno anche al di fuori delle gare. Alla mia età è normale che dopo una vita spesa in pista si voglia anche vedere altro, penso che fosse il momento giusto. Avevo già deciso che sarebbe stato alla fine di questa stagione, ne avevo già parlato con il signor Robazzi e poco prima delle ferie estive il pensiero è diventato definitivo.

Raccontaci anche un po’ il Mondiale di Le Mans: c’è mancato davvero poco!
Il Mondiale l’ho affrontato come una qualunque altra gara. Se penso ai test che abbiamo fatto una settimana prima, io non mi sentivo assolutamente ‘favorito’ anzi, i miei compagni Taponen e Milell erano decisamente più veloci. Poi la squadra ha lavorato bene, il lavoro svolto da tutti è stato come sempre al top: Tony è stata sempre tra i primi sia a Genk che a Cremona e ci aspettavamo anche qui di essere protagonisti… Da parte mia sì, devo dire che è stata una sorpresa anche per me trovarmi davanti. Una volta lì davanti, in Pole di una finale Mondiale, ci ho fatto un pensierino, sinceramente al titolo. In Finale però purtroppo mi è mancato il passo che invece avevo sempre avuto nelle manche, è andata così... 
Se mi chiedi se sono contento beh, partire 1° e finire 4° non è il massimo. Se parti decimo e arrivi quarto alla sera sei felice, ma nel mio caso un po’ di delusione c’è stata: almeno al podio ci avrei tenuto. Ho anche passato Iglesias, ci avevo provato, poi ho fatto un piccolo errore e mi ha ripassato: poi mi sono detto, magari davanti succede qualcosa e io sono qui, non si sa mai, in fondo noi quattro tiravamo tutti come matti. Però è stato un bel modo di chiudere la mia carriera, dai.

Ripensando alla tua carriera nel kart, in quante fasi decisive pensi si possa dividere? 
La prima fase è stata puro divertimento: io e papà con il furgone, avevo 11 anni e considera che in Finlandia la stagione dura solo sei mesi – per via del clima – e si corre tutte le settimane. Fosse stato per me sarei stato sempre in pista. Nel 2001 sono riuscito a vincere il Campionato Finlandese e dall’anno dopo, quando sono passato in ICAJ (l’attuale OK) si è iniziato a fare più sul serio. L’idea di arrivare in Formula 1 nei sogni c’era, anche se il budget a disposizione non era sicuramente di quelli che ti permettono di arrivarci. Pur correndo in Europa dal 2002 ho continuato a vivere in Finlandia, facendo trasferta in occasione delle gare. Dal 2003 al 2012 sono stato con PCR e dal 2009 circa mi sono trasferito in pianta stabile in Italia – anche se all’inizio facendo il servizio militare in Finlandia facevo avanti e indietro.

Hai corso per grandi costruttori del karting: hai una definizione per ognuno di loro? 

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