Da sempre le classi 125 con cambio di velocità hanno raccolto un grande successo di partecipanti, anche nei momenti più bui del karting. Quali sono le ragioni di questa tendenza? Cosa si può imparare dalla storia della “125”?
Tra i miei ricordi più vivi dei miei albori di pilota kart ricordo come se fosse oggi una domenica in pista in cui per la 125 Junior, che da sola aveva fatto registrare 120 iscritti, non fu disputata la finale a causa di assenza di luce. Sì, avete capito bene: ormai il sole stava tramontando e si decise di premiare i piloti in base a una non molto chiara valutazione dei tempi delle batterie che si era provato a organizzare. Non parliamo di un campionato italiano o di una gara di quelle pesanti, ma una semplice gara di una volta, di quelle alle quali si arrivava la domenica mattina alle 7 in pista giusto per tirare giù il kart e fare le qualifiche.
Negli ultimi 30 anni la 125 è stata sempre la spina dorsale del movimento kartistico nazionale, riscuotendo quasi sempre un buon riscontro in termini di presenze di piloti. Quali sono le ragioni di questo successo costante nel tempo? Diciamo che esse sono molteplici, non sempre volute e spesso frutto più delle idee e vere imposizioni dei costruttori piuttosto che da scelte politiche ponderate.
Kart che vince non si tocca!
La formula della classe 125 non è rimasta costante nel tempo, ma si è evoluta nel modo più logico e razionale possibile. Agli inizi questa categoria si basava su kart realizzati sfruttando motori di derivazione motociclistica e così è stato per circa 20 anni. Poi, intorno alla metà degli anni ’80, i costruttori di motori hanno realizzato motori specifici per uso kartistico che, grazie a soluzioni tecniche specifiche, hanno dimostrato una netta superiorità rispetto ai modelli precedenti.
Negli anni ’80 e ’90 i regolamenti si sono evoluti, sono stati semplificati e razionalizzati. I primi a lasciare il campo furono i motori bicilindrici: troppo specialistici, costosissimi e ormai raggiunti a livello prestazionale dai migliori monocilindrici grazie alle migliori caratteristiche di erogazione della potenza, al peso minore e meglio distribuito. Certo, per gli appassionati di tecnica perdere questi propulsori da 16000 giri al minuto con un sound inarrivabile è stato un lutto difficile da metabolizzare ma, alla fine della fiera, i numeri hanno dato ragione alle scelte politiche.
Sull’altare della riduzione dei costi, anche di produzione per i costruttori, sono stati sacrificati carburatori “over 30”, cambi estraibili, possibilità di cambiare i rapporti del cambio a piacimento e accensioni ad anticipo variabile fino ad arrivare alla messa al bando dei propulsori con alimentazione a disco rotante. Tutte scelte che, seduti a un tavolino del bar, suscitano ancora oggi grande rammarico tra piloti, preparatori e semplici appassionati ma che, alla luce dei fatti, hanno permesso alla 125 di prosperare anche negli anni successivi. Per dirne qualcuna, si racconta di un pilota che fu costretto a vendere un appartamento per pagare il meccanico che gli metteva a punto i suoi bicilindrici MBA, di accensioni derivate dalle moto 125 GP da 20 milioni di vecchie lire, infiniti prototipi di cilindri, alberi motore e carburatori venduti a peso d’oro. Oggi diciamo che, con le attuali limitazioni regolamentari, queste possibilità di spese folli sono state drasticamente ridotte, mettendo più o meno tutti quasi sullo stesso piano. Queste scelte talvolta impopolari sono state prese dalle autorità sportive su indicazione dei costruttori, che avendo il polso della situazione avevano ben chiaro dove si spendeva troppo e dove non aveva più senso investire. Oggi, per carità, è anche vero che a livello tecnico c’è stato un certo appiattimento, ma la KZ ha dei motori estremamente affidabili rispetto ad un tempo, costi di gestione relativamente accettabili e prestazioni che invogliano i piloti a mollare le classi monomarcia per dedicarsi a quelle con cambio di velocità.
Gli esempi insegnano!
Quando la CIK decise di uccidere la classe 100, si dice per l’eccessivo inquinamento acustico e gassoso di quei motori (giravano con miscela all’8%!) oltre che per la loro affidabilità, cercò di proporre ai costruttori una classe 4 tempi monomarcia. I costruttori si ribellarono a questa assurdità e il risultato finale fu il compromesso storico del karting: la KF. Gli enormi problemi di quei motori a livello di affidabilità (impianto elettrico, frizioni, valvole di scarico, ecc…) uccisero la classe monomarcia che sopravvisse, senza gloria, grazie ai trofei monomarca. Tra i due mali, i costruttori scelsero il male minore. Il sacrificio della 100, però, servì anche a salvare la 125 da altre amenità quali cablaggi, valvole sullo scarico, motorini di avviamento e contralberi anti vibrazioni: tutte cose complicate da progettare e sviluppare per i costruttori, che non danno realmente alcun vantaggio pratico ai piloti se non quello di aumentare le spese in modo drastico.
L’intoccabilità della 125 a marce, un regolamento stabile nel tempo, una diffusione capillare sul territorio hanno permesso a questa categoria di prosperare, di attirare sempre nuovi partecipanti grazie a prestazioni nettamente superiori ai vari monomarca/monomarcia e di poter contare, senti senti, anche su una buona rivendibilità dell’usato. I motori delle ultime 2 omologazioni, infatti, sono quasi sempre “assegni circolari” e, se montati su un telaio ancora sano (non quelli usa e getta per intenderci), sono piuttosto ricercati dagli appassionati che si vogliono avvicinare a questo sport con un mezzo prestazionale ma senza spendere un capitale.
Cosa ci ha insegnato la storia della 125?
La 125 KZ è la dimostrazione che, quando a fare i regolamenti si dà voce ai costruttori con esperienza diretta sul campo, difficilmente si sbaglia. Si è provato a introdurre carburatori più grandi dei canonici 30 mm o aumentare il rapporto di compressione per la KZ1, ma alla fine della fiera sarebbero interventi che aumenterebbero in modo inaccettabile i costi senza garantire quell’incremento prestazionale tale da fare la differenza.
Ad oggi la 125 plurimarcia è una categoria che funziona e non va toccata se non per alcune cose, come l’altezza minima da terra (per evitare che i telai si consumino sfregando sull’asfalto) e una scelta più oculata in termini di qualità dei pneumatici in modo da garantire il giusto rapporto tra prestazioni e costanza di rendimento: parametri che nelle ultime omologazioni sono peggiorati drasticamente in rapporto al costante aumento di prezzo delle gomme.
Considerata la qualità e la scarsa durata delle gomme, forse anche per un peso minimo ormai troppo vicino ai 200 kg, ci si chiede se la scelta di abolire le gomme radiali sia stata sensata: sono più costose da produrre, ma visti i pesi in gioco oggi potrebbero rappresentare una scelta obbligata per ridurre anche la quantità di pneumatici da produrre e impiegare nel corso di una singola gara.
a cura di P. Mancini
Negli ultimi 30 anni la 125 è stata sempre la spina dorsale del movimento kartistico nazionale, riscuotendo quasi sempre un buon riscontro in termini di presenze di piloti. Quali sono le ragioni di questo successo costante nel tempo? Diciamo che esse sono molteplici, non sempre volute e spesso frutto più delle idee e vere imposizioni dei costruttori piuttosto che da scelte politiche ponderate.
Kart che vince non si tocca!
La formula della classe 125 non è rimasta costante nel tempo, ma si è evoluta nel modo più logico e razionale possibile. Agli inizi questa categoria si basava su kart realizzati sfruttando motori di derivazione motociclistica e così è stato per circa 20 anni. Poi, intorno alla metà degli anni ’80, i costruttori di motori hanno realizzato motori specifici per uso kartistico che, grazie a soluzioni tecniche specifiche, hanno dimostrato una netta superiorità rispetto ai modelli precedenti.
Negli anni ’80 e ’90 i regolamenti si sono evoluti, sono stati semplificati e razionalizzati. I primi a lasciare il campo furono i motori bicilindrici: troppo specialistici, costosissimi e ormai raggiunti a livello prestazionale dai migliori monocilindrici grazie alle migliori caratteristiche di erogazione della potenza, al peso minore e meglio distribuito. Certo, per gli appassionati di tecnica perdere questi propulsori da 16000 giri al minuto con un sound inarrivabile è stato un lutto difficile da metabolizzare ma, alla fine della fiera, i numeri hanno dato ragione alle scelte politiche.
Sull’altare della riduzione dei costi, anche di produzione per i costruttori, sono stati sacrificati carburatori “over 30”, cambi estraibili, possibilità di cambiare i rapporti del cambio a piacimento e accensioni ad anticipo variabile fino ad arrivare alla messa al bando dei propulsori con alimentazione a disco rotante. Tutte scelte che, seduti a un tavolino del bar, suscitano ancora oggi grande rammarico tra piloti, preparatori e semplici appassionati ma che, alla luce dei fatti, hanno permesso alla 125 di prosperare anche negli anni successivi. Per dirne qualcuna, si racconta di un pilota che fu costretto a vendere un appartamento per pagare il meccanico che gli metteva a punto i suoi bicilindrici MBA, di accensioni derivate dalle moto 125 GP da 20 milioni di vecchie lire, infiniti prototipi di cilindri, alberi motore e carburatori venduti a peso d’oro. Oggi diciamo che, con le attuali limitazioni regolamentari, queste possibilità di spese folli sono state drasticamente ridotte, mettendo più o meno tutti quasi sullo stesso piano. Queste scelte talvolta impopolari sono state prese dalle autorità sportive su indicazione dei costruttori, che avendo il polso della situazione avevano ben chiaro dove si spendeva troppo e dove non aveva più senso investire. Oggi, per carità, è anche vero che a livello tecnico c’è stato un certo appiattimento, ma la KZ ha dei motori estremamente affidabili rispetto ad un tempo, costi di gestione relativamente accettabili e prestazioni che invogliano i piloti a mollare le classi monomarcia per dedicarsi a quelle con cambio di velocità.
Gli esempi insegnano!
Quando la CIK decise di uccidere la classe 100, si dice per l’eccessivo inquinamento acustico e gassoso di quei motori (giravano con miscela all’8%!) oltre che per la loro affidabilità, cercò di proporre ai costruttori una classe 4 tempi monomarcia. I costruttori si ribellarono a questa assurdità e il risultato finale fu il compromesso storico del karting: la KF. Gli enormi problemi di quei motori a livello di affidabilità (impianto elettrico, frizioni, valvole di scarico, ecc…) uccisero la classe monomarcia che sopravvisse, senza gloria, grazie ai trofei monomarca. Tra i due mali, i costruttori scelsero il male minore. Il sacrificio della 100, però, servì anche a salvare la 125 da altre amenità quali cablaggi, valvole sullo scarico, motorini di avviamento e contralberi anti vibrazioni: tutte cose complicate da progettare e sviluppare per i costruttori, che non danno realmente alcun vantaggio pratico ai piloti se non quello di aumentare le spese in modo drastico.
L’intoccabilità della 125 a marce, un regolamento stabile nel tempo, una diffusione capillare sul territorio hanno permesso a questa categoria di prosperare, di attirare sempre nuovi partecipanti grazie a prestazioni nettamente superiori ai vari monomarca/monomarcia e di poter contare, senti senti, anche su una buona rivendibilità dell’usato. I motori delle ultime 2 omologazioni, infatti, sono quasi sempre “assegni circolari” e, se montati su un telaio ancora sano (non quelli usa e getta per intenderci), sono piuttosto ricercati dagli appassionati che si vogliono avvicinare a questo sport con un mezzo prestazionale ma senza spendere un capitale.
Cosa ci ha insegnato la storia della 125?
La 125 KZ è la dimostrazione che, quando a fare i regolamenti si dà voce ai costruttori con esperienza diretta sul campo, difficilmente si sbaglia. Si è provato a introdurre carburatori più grandi dei canonici 30 mm o aumentare il rapporto di compressione per la KZ1, ma alla fine della fiera sarebbero interventi che aumenterebbero in modo inaccettabile i costi senza garantire quell’incremento prestazionale tale da fare la differenza.
Ad oggi la 125 plurimarcia è una categoria che funziona e non va toccata se non per alcune cose, come l’altezza minima da terra (per evitare che i telai si consumino sfregando sull’asfalto) e una scelta più oculata in termini di qualità dei pneumatici in modo da garantire il giusto rapporto tra prestazioni e costanza di rendimento: parametri che nelle ultime omologazioni sono peggiorati drasticamente in rapporto al costante aumento di prezzo delle gomme.
Considerata la qualità e la scarsa durata delle gomme, forse anche per un peso minimo ormai troppo vicino ai 200 kg, ci si chiede se la scelta di abolire le gomme radiali sia stata sensata: sono più costose da produrre, ma visti i pesi in gioco oggi potrebbero rappresentare una scelta obbligata per ridurre anche la quantità di pneumatici da produrre e impiegare nel corso di una singola gara.
a cura di P. Mancini