Ecco la seconda parte del nostro racconto sull’Helmet design, nata insieme alla lavorazione che Kaos Design ha compiuto sul nostro casco per aiutarci a rappresentare la nostra storica rivista e i suoi oltre trent’anni di storia. Passo dopo passo, come nasce una grafica unica.
Un foglio bianco e il desiderio di essere riconoscibili sono i punti di partenza del lavoro che insieme a Gianluca Croci abbiamo messo in campo (in verità: Kaos Design ha messo in campo) per toglierci la soddisfazione di rappresentare la nostra storica rivista e i suoi oltre trent’anni di storia.
Il casco avrebbe dovuto chiaramente richiamare ai colori del logo di Vroom, la mitica scritta in rosso vivo su scudo giallo, oltre al nero, parte integrante del logo e richiamo a un colore molto presente in pista nelle sue gradazioni dal grigio scuro: asfalto, gomme, lo sporco del grasso che i kartisti amatori conoscono bene. Ma avrebbe anche in qualche modo dovuto rappresentare me, pilota dilettante della generazione X, sì insomma: quella per cui il motorsport è diviso in “prima Senna” e “dopo Senna” e per cui quell’immagine del casco giallo con “le due righe” ha segnato, quel 1 Maggio 1994, il passaggio all’età adulta. Il pilota che più di tutti ha reso popolare il karting quando io ero ancora un bambino e sognavo l’unica pista che il mio papà poteva permettersi: quella dei kart. Un casco solo per tutte queste emozioni, tutte insieme.
C’è un problema, ho fatto subito presente a Gianluca, in fase preliminare. I colori di Vroom sono anche i colori della Germania, del Belgio, mio Dio di chissà quante altre bandiere. Sembrerà il casco di Vettel? Personalmente, come potete vedere ho capito sulla mia pelle come ad un certo punto è meglio che il “designer dilettante” che c’è dentro di noi lasci spazio a chi fa da trent’anni questo mestiere e si metta nelle mani di chi può trasformare quello che hai appena raccontato di te e del tuo giornale in tinte da miscelare nell’aerografo. Come dice il milanesissimo fondatore di Kaos Design: “ghe pensi mi”.
Per capire bene le fasi di questo lavoro, si può pensare alla grafica di un casco – una volta che questo è stato completamente smembrato e abbiamo la sola calotta ‘nuda’ davanti a noi - come alla composizione di un panino: base di pane, farcitura, chiusura col pane.
Preparazione del lavoro e base della verniciatura:
Non solo smontaggio, per cominciare. Dato che i caschi omologati che acquistiamo sono “bianchi” (come il mio nella fattispecie) o con il carbonio ‘a vista’ nei modelli più costosi, è necessario rendere questa superficie ‘verniciabile’. Va specificato un dettaglio non da poco: il bianco che vedete in un casco appena preso al negozio NON E’ la base della verniciatura, anche perché è anch’esso una vernice. Di fronte ad una calotta bianca si possono fare due cose, essenzialmente: carteggiarla (con la comune carta vetrata) perché la vernice ‘aggrappi’ o tirarla ‘ a zero’ per poter applicare un primer, ovvero quel velo che permette alla vernice un perfetto ancoraggio meccanico alla superficie. Il primer fa anche da protettivo anti-corrosione e anti-ossidante ed è questo il processo a cui è stato sottoposto anche il nostro casco: in tutti pochi micron di peso, per poi procedere alla ‘farcitura’ del panino mediante l’applicazione del colore.
La verniciatura
Nel caso del nostro casco, Gianluca ha pensato di usare come base uno dei cavalli di battaglia di Kaos Design dal 1992: il ciclo-cromo-metal K, un trattamento fatto con primer Nero lucido cromo (cioè un macinato di alluminio, Nichel e Argento) per creare l’effetto base “scraped/fiorettato”. I ‘fioretti’ sono, per intenderci, quei cerchietti che potete vedere sulle cisterne che trasportano il latte presenti per ‘rifrangere’ la luce del sole e fare in modo che la temperatura interna non salga oltremisura. Questo effetto grafico è presente su tutta la base (anche sul rosso della calotta superiore). Quando parliamo di verniciatura, al profano si apre il mondo della chimica, che trattandosi di vernici ‘industrial’ come quelle usate da KAOS DEISGN, permettono e prevedono cicli di lavoro personalizzato alla ricerca di effetti unici e particolari. Che siano METALLIZZATE, PERLATE, GLITTER o le più tradizionali PASTELLO, le vernici sono un composto di Polveri Macinate e Resine, ognuna con una propria scheda tecnica, dei tempi reticolazione, delle finestre di essicazione che permettono di arrivare al risultato desiderato, facendo del designer un misto tra un pasticcere ed un chimico di laboratorio. Volendo andare un poco più a fondo, possiamo vederla così: nel caso delle vernici metallizzate, si tratta di una polvere miscelata di poliestere e piccole scaglie di metallo (p.esempio alluminio) , che nel caso del ‘perlato’ sono scaglie di materie organiche e minerali con effetto prismatico. Quando la dimensione di queste scaglie è maggiore, parliamo allora di vernici ‘Glitter’ e l’effetto è quello ancora più scintillante che spesso vediamo sui caschi e possono dare appeal anche allo scialbo logo di una multinazionale. Per il nostro casco sono state scelte varie tinte di rosso metallizzato e per il bianco si è scelto un perlato che, visto alla luce del sole, garantisce uno stupendo effetto nel quale ad ogni angolo di rifrazione della luce, il casco assume delle diverse sfumature.
La copertura
E’ ora di coprire il “panino” prima di rimontare tutto e far cadere la mascella al cliente: si usa il trasparente che, anche in questo caso, fa capo ad una grande famiglia di prodotti per l’industria, lucido, lucido anti UV, lucido ritardante antifiamma più tutta la gamma degli opachi, che alcuni piloti richiedono, a volte mista al lucido e via scorrendo i cataloghi delle case produttrici. L’unità di misura del ‘trasparente’ è il GLOSS: Gianluca usa un 95/98 è anche un anti-acido, fondamentale per proteggere il nostro casco da agenti esterni che potrebbero intaccarne la verniciatura (vedi didascalia sulla benzina) e adatto nello specifico per i caschi. Considerate che qui alla Kaos Design si verniciano monoposto di Formula 2, imbarcazioni offshore da competizione, razzi (sì: razzi, come quelli della ‘ACME’ di Will Coyote) destinati all’industria aerospaziale e capirete che dare il trasparente ad un casco, che è grande quanto un pallone da basket, abbia tempi e cicli di lavoro personalizzati rispetto ad una barca lunga 30 metri con finestre temporali per l’aciugatura completamente diverse. Cicli di lavoro che sono stati seguiti in ognuna delle fasi che ha portato, ormai manca solo il rimontaggio della calotta in polistirolo, delle imbottiture, delle guarnizioni e della visiera, alla consegna del nuovo casco di Vroom: il motto della nostra rivista NO VROOM NO RACE e l’inconfondibile logo completano il lavoro. I piloti che seguono – si spera più d’uno - sono avvertiti. Grazie a Gianluca Croci per averci accompagnato in questo viaggio alla scoperta dell’helmets design per avere interpretato al meglio i colori e l’essenza della nostra passione.
Leggi la prima parte
Il casco avrebbe dovuto chiaramente richiamare ai colori del logo di Vroom, la mitica scritta in rosso vivo su scudo giallo, oltre al nero, parte integrante del logo e richiamo a un colore molto presente in pista nelle sue gradazioni dal grigio scuro: asfalto, gomme, lo sporco del grasso che i kartisti amatori conoscono bene. Ma avrebbe anche in qualche modo dovuto rappresentare me, pilota dilettante della generazione X, sì insomma: quella per cui il motorsport è diviso in “prima Senna” e “dopo Senna” e per cui quell’immagine del casco giallo con “le due righe” ha segnato, quel 1 Maggio 1994, il passaggio all’età adulta. Il pilota che più di tutti ha reso popolare il karting quando io ero ancora un bambino e sognavo l’unica pista che il mio papà poteva permettersi: quella dei kart. Un casco solo per tutte queste emozioni, tutte insieme.
C’è un problema, ho fatto subito presente a Gianluca, in fase preliminare. I colori di Vroom sono anche i colori della Germania, del Belgio, mio Dio di chissà quante altre bandiere. Sembrerà il casco di Vettel? Personalmente, come potete vedere ho capito sulla mia pelle come ad un certo punto è meglio che il “designer dilettante” che c’è dentro di noi lasci spazio a chi fa da trent’anni questo mestiere e si metta nelle mani di chi può trasformare quello che hai appena raccontato di te e del tuo giornale in tinte da miscelare nell’aerografo. Come dice il milanesissimo fondatore di Kaos Design: “ghe pensi mi”.
Per capire bene le fasi di questo lavoro, si può pensare alla grafica di un casco – una volta che questo è stato completamente smembrato e abbiamo la sola calotta ‘nuda’ davanti a noi - come alla composizione di un panino: base di pane, farcitura, chiusura col pane.
Preparazione del lavoro e base della verniciatura:
Non solo smontaggio, per cominciare. Dato che i caschi omologati che acquistiamo sono “bianchi” (come il mio nella fattispecie) o con il carbonio ‘a vista’ nei modelli più costosi, è necessario rendere questa superficie ‘verniciabile’. Va specificato un dettaglio non da poco: il bianco che vedete in un casco appena preso al negozio NON E’ la base della verniciatura, anche perché è anch’esso una vernice. Di fronte ad una calotta bianca si possono fare due cose, essenzialmente: carteggiarla (con la comune carta vetrata) perché la vernice ‘aggrappi’ o tirarla ‘ a zero’ per poter applicare un primer, ovvero quel velo che permette alla vernice un perfetto ancoraggio meccanico alla superficie. Il primer fa anche da protettivo anti-corrosione e anti-ossidante ed è questo il processo a cui è stato sottoposto anche il nostro casco: in tutti pochi micron di peso, per poi procedere alla ‘farcitura’ del panino mediante l’applicazione del colore.
La verniciatura
Nel caso del nostro casco, Gianluca ha pensato di usare come base uno dei cavalli di battaglia di Kaos Design dal 1992: il ciclo-cromo-metal K, un trattamento fatto con primer Nero lucido cromo (cioè un macinato di alluminio, Nichel e Argento) per creare l’effetto base “scraped/fiorettato”. I ‘fioretti’ sono, per intenderci, quei cerchietti che potete vedere sulle cisterne che trasportano il latte presenti per ‘rifrangere’ la luce del sole e fare in modo che la temperatura interna non salga oltremisura. Questo effetto grafico è presente su tutta la base (anche sul rosso della calotta superiore). Quando parliamo di verniciatura, al profano si apre il mondo della chimica, che trattandosi di vernici ‘industrial’ come quelle usate da KAOS DEISGN, permettono e prevedono cicli di lavoro personalizzato alla ricerca di effetti unici e particolari. Che siano METALLIZZATE, PERLATE, GLITTER o le più tradizionali PASTELLO, le vernici sono un composto di Polveri Macinate e Resine, ognuna con una propria scheda tecnica, dei tempi reticolazione, delle finestre di essicazione che permettono di arrivare al risultato desiderato, facendo del designer un misto tra un pasticcere ed un chimico di laboratorio. Volendo andare un poco più a fondo, possiamo vederla così: nel caso delle vernici metallizzate, si tratta di una polvere miscelata di poliestere e piccole scaglie di metallo (p.esempio alluminio) , che nel caso del ‘perlato’ sono scaglie di materie organiche e minerali con effetto prismatico. Quando la dimensione di queste scaglie è maggiore, parliamo allora di vernici ‘Glitter’ e l’effetto è quello ancora più scintillante che spesso vediamo sui caschi e possono dare appeal anche allo scialbo logo di una multinazionale. Per il nostro casco sono state scelte varie tinte di rosso metallizzato e per il bianco si è scelto un perlato che, visto alla luce del sole, garantisce uno stupendo effetto nel quale ad ogni angolo di rifrazione della luce, il casco assume delle diverse sfumature.
La copertura
E’ ora di coprire il “panino” prima di rimontare tutto e far cadere la mascella al cliente: si usa il trasparente che, anche in questo caso, fa capo ad una grande famiglia di prodotti per l’industria, lucido, lucido anti UV, lucido ritardante antifiamma più tutta la gamma degli opachi, che alcuni piloti richiedono, a volte mista al lucido e via scorrendo i cataloghi delle case produttrici. L’unità di misura del ‘trasparente’ è il GLOSS: Gianluca usa un 95/98 è anche un anti-acido, fondamentale per proteggere il nostro casco da agenti esterni che potrebbero intaccarne la verniciatura (vedi didascalia sulla benzina) e adatto nello specifico per i caschi. Considerate che qui alla Kaos Design si verniciano monoposto di Formula 2, imbarcazioni offshore da competizione, razzi (sì: razzi, come quelli della ‘ACME’ di Will Coyote) destinati all’industria aerospaziale e capirete che dare il trasparente ad un casco, che è grande quanto un pallone da basket, abbia tempi e cicli di lavoro personalizzati rispetto ad una barca lunga 30 metri con finestre temporali per l’aciugatura completamente diverse. Cicli di lavoro che sono stati seguiti in ognuna delle fasi che ha portato, ormai manca solo il rimontaggio della calotta in polistirolo, delle imbottiture, delle guarnizioni e della visiera, alla consegna del nuovo casco di Vroom: il motto della nostra rivista NO VROOM NO RACE e l’inconfondibile logo completano il lavoro. I piloti che seguono – si spera più d’uno - sono avvertiti. Grazie a Gianluca Croci per averci accompagnato in questo viaggio alla scoperta dell’helmets design per avere interpretato al meglio i colori e l’essenza della nostra passione.
Leggi la prima parte