Addio, diavolo!

- Primo Piano
A 65 anni ci ha lasciato Stefano Morsicani, uno dei tecnici più geniali e controversi del karting di sempre (p.m.)

L’abbiamo scoperto tutti così, con una foto di commiato sui social network: “Addio Stefano”. Aveva solo 65 anni, un’età in cui oggi si è ancora giovani, attivi, pronti per nuove avventure. 
Stefano, prima che un preparatore, era un amico. L’ho conosciuto 40 anni fa e sono sempre rimasto affascinato dal suo approccio geniale alla tecnica. Perché, se si parla di genio, in pochi altri meritano questa definizione in un mondo ormai fermo a 30 anni fa, in cui le innovazioni sono spesso soltanto specchietti per le allodole. Un genio controverso, perché in molti lo hanno criticato per il suo stile, per il suo approccio che, spesso, andava oltre le righe del regolamento. 
Un giorno proposi a Giuliano, il Direttore, un’intervista a Stefano. Lui mi guardò e disse “lo sai che questa cosa ci porterà un sacco di casini, vero?”. Io gli risposi “Te ne frega qualcosa?”. Mi autorizzò con una delle sue risate fragorose che sentivano anche quelli del piano di sotto. 

Scrissi un pezzo “Lui, il diavolo”, (PDF in allegato) perché io l’ho sempre chiamato così. Diavolo, però, mai nel senso dispregiativo del termine, perché sarebbe stato ingiusto. Diavolo per la sua capacità diabolica di osservare, studiare, capire e piegare ogni regolamento al suo volere. Sfruttò quell’intervista in modo davvero diabolico. Io me ne resi conto ma lui, da grande illusionista, seppe portare avanti il suo gioco senza sbavature. Ogni numero di magia è composto da 3 atti. Il primo di questi è la promessa, in cui l’illusionista mostra qualcosa di ordinario (un mazzo di carte, una corda…) e, magari lo fa anche ispezionare dal pubblico per dimostrare che non c’è niente di alterato. Il secondo atto è “la svolta”, in cui l’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo rende straordinario. A questo punto chiunque vorrebbe capire il segreto, ma non si può fare perché non state realmente guardando. Ancora non applaudite, e ciò è la ragione per cui ogni numero di magia ha un terzo atto, il più delicato: perché non basta far scomparire una cosa… per fare la magia la devi anche far riapparire. Il terzo atto si chiama “il prestigio”. E da grande ingenieur/illusionista, orientò sapientemente l’intervista per le sue esigenze teatrali, per la sua premessa, presentando una sua nuova invenzione: un flussometro realizzato con un misuratore aria di derivazione automobilistica per sviluppare un nuovo motore 60 cc. 

Mi parlò per un’ora di quel giochino, come quando l’illusionista muove la mano destra davanti al suo pubblico, distraendolo, per trovare l’asso nella manica nel polsino sinistro. Poi ci fu la svolta, e fece vincere il motore che tutti giudicavano un pietoso carciofo. Il prestigio fu riuscire a passare indenne le verifiche tecniche. Quella volta inventò una lamella in ottone che permetteva di aspirare aria aggiuntiva da un foro del prigioniero del motorino di avviamento. Mi fece vedere un altro cilindro con un altro foro che girava dietro al travaso, invisibile senza tagliare in due la canna. Trasformò la categoria più combattuta in una specie di inaspettato monomarca. 

Questo suo modo di fare spesso gli creava problemi, ovviamente, ma Stefano era una persona ben diversa da quello che poteva apparire. Studiava le sue cose, le costruiva con una maestria unica, spesso erano vincenti. Perché a lui non piaceva vincere, voleva stravincere e distruggere i suoi avversari. Era talmente tanto orgoglioso del suo lavoro, però, che non resisteva dal chiamarti e dirti “no, questo te lo devo proprio far vedere…” e tirava fuori il suo trucco come un ingenieur. Ma, come nel mondo dell’illusionismo, nel karting l’ingenieur deve mantenere la bocca cucita anche sotto tortura, perché nell’attimo esatto in cui il trucco è svelato, non vale più nulla. 
Io credo che di diavoli nel mondo del karting ce ne siano stati, ce ne sono e ce ne saranno sempre tanti. Tanti hanno usato trucchi ignobili per vincere, con la differenza che non hanno mai mostrato i loro segreti a nessuno mantenendo la faccia pulita. Per Stefano, invece, era più forte di lui: ogni tanto cedeva e il suo prestigio diventava di dominio pubblico. Si fidava della persona sbagliata e, puntualmente, scoppiava il bubbone. Per me era più grave quando qualcuno faceva ripartire un motore apparentemente morto cambiando la strumentazione sul volante sotto gli occhi di tutti… 
Quando iniziai a preparare i motori della 60, ai tempi del Comer, Stefano era già nel vortice e, se qualcuno si presentava in pista con un suo motore, glielo facevano a brandelli per squalificarlo. Ricordo che il problema era mantenere basso il diagramma ma, se eri dentro con lo scarico, andavi fuori con l’aspirazione perché il mantello del pistone era troppo corto. Qualcuno aveva i pistoni “giusti” e faceva la differenza. Lui cosa fece? Inventò un morsetto che, serrando il mantello del pistone, con piccoli colpi sapientemente dati mentre si serrava quella parte, permetteva di allungarla di qualche prezioso decimo di millimetro. 

Lo avvicinai in pista, rimasi a parlare con lui e mi disse di andarlo a trovare portando una decina di pistoni. Si mise lì e me li modificò tutti, uno per uno. Non volle una lira. Era ansioso di mostrarmi la sua invenzione. Poi mi regalò qualche progetto che non aveva realizzato, dicendomi “prova questi”. Erano disegni fatti su carta millimetrata, geniali, con tanto di spiegazioni. Mi insegnò a studiare il regolamento, a impararlo quasi a memoria. Capirne i punti deboli, scoprire dove era la vera limitazione per poi trovare il modo di aggirarla. Ma realizzò anche autentici capolavori nel pieno rispetto del regolamento. Inventò il sistema Cyborg col quale, girando lo sterzo, si faceva abbassare la ruota anteriore esterna per far alzare la posteriore interna in curva. L’All Kart Cyborg, prima di essere messo fuori regolamento, rischiò di vincere un mondiale. Oppure il suo motore a disco rotante variabile, una genialata fatta di masse centrifughe e mollette che iniziò a funzionare quando la federazione mandò in pensione i “valvola”. Vinse anche un concorso per disegnare un sedile di un aereo: fior di ingegneri arrivarono con presentazioni in powerpoint, ma l’unico che riuscì a centrare tutti i parametri fu lui, il diavolo, che arrivò con una cartellina piena di disegni su carta millimetrata, mandandoli tutti a casa… 
Mi raccontava che, quando aveva un problema da risolvere, faceva un bel bagno e, nel completo relax della vasca, la soluzione gli si materializzava davanti agli occhi. 

Con Stefano se ne va un altro pezzo di storia del karting. Un capitolo controverso, ma con molte più luci che ombre rispetto a chi, veramente, ha agito in modo scorretto in questo mondo proteggendosi più con la politica e il portafogli che con il puro genio. 
Alla sua famiglia vanno le condoglianze della redazione di Vroom.

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