Alessandro Pier Guidi: «nel kart ho imparato tantissimo»

- Intervista
Alessandro Pier Guidi, insieme a James Calado e Antonio Giovinazzi, ha portato la Ferrari 499P numero 51 a vincere l’edizione del Centenario della 24 Ore di Le Mans. Alessandro non è però un volto nuovo per noi di Vroom, visto che negli anni '90 il suo nome campeggiava fisso tra le pagine del nostro giornale, a seguito delle numerose vittorie sulla mitica pista di Parma. (mb)

Alessandro Pier Guidi (1983), laurea in Ingegneria meccanica, è stato un kartista ai tempi di Hamilton e Alonso, vincendo il Trofeo delle Industrie 1995 con la 60 Minikart e nel 1996-1997 in 100 Junior. Passa poi in Formula Renault nel 2002 per poi concentrarsi sulle ruote “coperte” con due titoli italiani vinti nella GT. Nel 2017 diviene pilota ufficiale Ferrari e nel 2019 e nel 2021 vince la 24 Ore di Le Mans in classe LMGTE Pro, vincendo poi ben 3 titoli iridati nel FIA WEC in LMGTE Pro nel 2017, 2021 e 2022, al volante della Ferrari 488 GTE.
La 24 Ore di Le Mans di questo anno è stato un vero e proprio "miracolo" Ferrari ed entrerà di merito nella storia dell'automobilismo. Come è possibile una vittoria al primo colpo dopo 50 anni di assenza? Te lo aspettavi?
È stato qualcosa di fantastico e sono contentissimo che questa vittoria sia diventata parte della storia del nostro sport, specialmente in un’edizione speciale che ha visto Ferrari tornare a gareggiare nella top class dopo mezzo secolo, ottenendo il successo che mancava da 58 anni. Se poi penso che è stata anche l’edizione del Centenario (la prima 24 Ore di Le Mans si disputò nel 1923, Ndr) diciamo che i numeri la rendono davvero speciale! Non parlerei però di “miracolo” perché in realtà è stato frutto di tanto lavoro. Nessuno di noi ovviamente nelle settimane precedenti la corsa si aspettava vincere. Era un obiettivo, ma sapevamo quanto sarebbe stato difficile in un tempo così ristretto dal debutto della nostra 499P. Consideriamo che abbiamo messo in pista questa Hypercar a luglio dell’anno precedente (Pier Guidi è stato il primo pilota a guidare la vettura nello Shakedown del 6 luglio 2022, Ndr) e la Le Mans è stata a giugno 2023, dunque nemmeno un anno di sviluppo. Avevamo visto subito che la prestazione c’era, ma eravamo incerti sulla affidabilità considerato quanto questo fattore sia importante in un evento lungo 24 ore. Noi ci abbiamo messo tutto il possibile e, man mano che passavano le ore, ci siamo accorti che potevamo farcela, e dunque ci abbiamo creduto sempre di più. Fino all’ultimo però non potevamo stare tranquilli, perché anche alla Toyota è capitato di perdere una 24 ore all’ultimo giro in passato. Le gare endurance sono molto particolari e quando ti trovi in testa sei sicuro di vincerle solo una volta passata la bandiera a scacchi. Ora dopo ora il sogno è diventato realtà, ma è il frutto del lavoro di tutto il gruppo, a partire dal nostro responsabile Antonello Coletta che ha voluto fortemente questo progetto, e arrivando ai miei compagni James e Giovi ovviamente. È stato davvero un successo di tutto il gruppo: non voglio dimenticare i nostri compagni della 499P numero 50, Fuoco, Molina e Nielsen, che stanno facendo un grande lavoro, né tutta la squadra degli ingegneri capitanata dal direttore tecnico Ferdinando Cannizzo. Sin dallo Shakedown vi è stato un coinvolgimento straordinario di tutti: ricordo quando gli ingegneri Ferrari mi chiamavano il sabato sera o la domenica per discutere della macchina, per trovare soluzioni utili a migliorare qualche aspetto. Questo fa capire appieno la passione di chi lavora a questo progetto. Raggiungere questo successo ripaga tutti di tutti gli sforzi.
Che tipo di gara è stata a Le Mans? Parlaci soprattutto del tuo strepitoso turno di notte in cui letteralmente volavi rispetto agli altri!
È stata una gara davvero particolare, piena di alti e bassi, come quasi tutte le gare endurance. Le corse di durata, per quanto possa essere paradossale, non sono affatto noiose, perché la strategia, gli incidenti, le neutralizzazioni le rendono sempre vive, soprattutto a Le Mans. Il meteo di Le Mans è poi sempre molto imprevedibile, un po’ come a Spa, date le latitudini simili. Di notte infatti mi è capitato di fare dei turni con tanta acqua in pista. Puoi ben capire che già di giorno con l’acqua la visibilità è pessima (senza contare l’acqua planning ovviamente). Di notte con i fanali potenti che abbiamo l’acqua causa non meno problemi di visibilità creando una sorta di effetto-nebbia. In quelle fasi da dentro la macchina cercavo di fare del mio meglio, ma non avevo esattamente idea delle prestazioni degli altri. Quando ho saputo che andavo molto forte mi ha fatto molto piacere ovviamente, ma sono rimasto concentrato su quello che ero chiamato a fare. Io ovviamente cercavo di non rischiare troppo, anche perché se esageri correndo troppi rischi ed esci di pista, compromettendo la vettura per girare un secondo più veloce, rischi di buttare al vento il lavoro di tutta la squadra. Sono stato abile ad avere un passo molto veloce e a non perdere il controllo del mezzo. Certo mi ha fatto piacere in alcuni momenti girare quattro secondi più veloce dei nostri rivali, sebbene va detto che a Le Mans i gap sul giro sono molto più dilatati rispetto ad altri circuiti, essendo una pista molto lunga. In ogni caso diciamo che con la pista bagnata mi sono trovato bene! Come hai visto, però, la gara non è stata semplice, abbiamo anche avuto alcuni momenti molto stressanti, come l’ultimo pit-stop a 20 minuti dalla fine che ha tenuto il pubblico di tutto il mondo con il fiato sospeso, sebbene la situazione fosse sotto controllo. Mentre effettuavo le procedure di riavvio della nostra 499P sentivo persino io, dall’interno dell’abitacolo, la voce dello speaker, percepivo la tensione che c’era nell’aria. Ero però abbastanza tranquillo perché sapevo cosa dovevo fare. Questo per ribadire come le gare endurance non siano mai davvero finite fino alla bandiera a scacchi.
Tu sei un ingegnere, quanto ha influenzato questo tuo titolo sullo sviluppo della macchina?
Questa domanda mi è stata posta molte volte. In Ferrari ci sono tantissime persone preparate che sanno fare il proprio lavoro al meglio. Io faccio il pilota, non l’ingegnere. A livello puramente tecnico non ho messo niente di “mio” dal punto di vista ingegneristico. Quello che mi ha aiutato, invece, è la metodologia di lavoro appresa nel corso dei miei studi, seguendo al meglio delle mie capacità il lavoro degli ingegneri. Alcune volte quando mi spiegavano la vettura o quando sentivo dei feeling particolari in pista riuscivo a capire il perché di tutto questo. Diciamo che con una formazione tecnica come la mia puoi capire al meglio la vettura in una modalità che definirei “attiva” e non solo “passiva”.
Avete vinto a Le Mans, ma ora il sogno sarebbe anche vincere il campionato FIA WEC. Quali speranze hai in merito?
Questo è molto complesso. Io penso che Toyota sia la squadra di riferimento in questo momento e lo è stata anche nella prima parte dell’anno. Noi abbiamo vinto la 24 Ore di Le Mans, ma loro sono da molti anni in questo campionato. Noi ci siamo arrivati dal 2023 e stiamo cercando di ottimizzare un po’ tutto, pur avendo già mostrato grandi capacità e di avere una vettura come la Ferrari 499P che si è dimostrata veloce e affidabile. A Monza, nel quinto round, abbiamo avuto un po’ di sfortuna con la strategia con il timing della safety-car, ma in ogni caso non penso fossimo in grado in quella gara di competere per la vittoria, nonostante il secondo posto dei nostri compagni di squadra. La macchina leader del campionato, però, è arrivata dietro di noi, quindi qualcosa abbiamo guadagnato in termini di punti in classifica. Mancano solo due gare, di cui una al Fuji, circuito di “casa” di Toyota. Noi cercheremo di fare il nostro meglio, ma non è semplice. Finché però la matematica ci lascia sperare noi cercheremo di fare il massimo in ottica iridata.
Parliamo del tuo passato kartistico: tu fai parte della generazione di piloti come Hamilton e Alonso e hai corso con kart diversissimi da quelli di oggi, meno potenti, ma più brutali. Cosa pensi ti abbia lasciato la guida di quei mezzi?
Beh alla fine il kart è la base per diventare un pilota. Il kart è una vettura in miniatura. Già allora il kart, per quanto meno sofisticato di oggi, era formativo sia per la guida che per imparare come gestire la bagarre in gara. Molte delle tecniche di sorpasso le impari proprio in quel contesto. Il karting è la pietra fondamentale per diventare un pilota. Difficilmente puoi diventare un gran pilota senza passare dal karting. Il kart stesso, nel mio caso, mi ha insegnato molto nel campo dei collaudi, che interessassero telai o motori.  Tutti questi aspetti ti consentono di apprendere una capacità di percezione e di feeling delle differenze per diventare un buon collaudatore, dote indispensabile nelle auto. Io in kart passavo tante ore a provare materiali diversi cercando di dare il feedback al mio meccanico. Insomma, il mio passato kartistico mi ha lasciato in dote tantissimo.
Quali caratteristiche della guida di un kart (allora come oggi) ritieni siano più formative, dato che in carriera hai guidato vari tipi di auto e non solamente monoposto?
Le vetture GT in realtà stanno diventando sempre più simili alle monoposto per tanti aspetti, in particolare su guida una Hypercar che a livello di prestazioni è una vettura straordinaria. Già i kart della mia epoca, con le gomme morbide che si usavano nelle gare internazionali, ti facevano guidare in una maniera molto “pulita”. Questo ti serve poi anche con le vetture da corsa, per esempio nella capacità di far scorrere la macchina in centro curva e di minimizzare le distanze dagli altri concorrenti. Le tecniche che ti fanno andare forte in kart ti fanno andare anche forte in macchina. Il mondo del kart e delle auto non è molto distante. Quello che cambia è l’utilizzo del cambio o cose di questo tipo, ma la “pulizia” di guida la apprendi in kart.
Hai vinto ben tre Trofei delle Industrie in kart sulla mitica pista di Parma. Sono state le tue gare più belle o ne ricordi delle altre ancora più entusiasmanti?
A Parma ci sono state tante gare che ricordo con estremo piacere, ma mi ricordo anche della mia vittoria del Campionato Italiano alla terza prova sulla Pista d’Oro di Roma. Il Trofeo delle Industrie all’epoca era uno dei trofei più importanti che esistesse e all’epoca a Parma andavo sempre molto forte, anche perché correvo per Top Kart ed era la nostra pista di riferimento.
Come è stato il tuo passaggio dal kart alle macchine?
A quell’epoca in realtà avrei dovuto fare un’altra stagione di kart, ma ebbi un incidente al Campionato Europeo, e mi ruppi una spalla. Quindi mi fermai, quella stagione, e in seguito mi venne proposto di fare un test con una Formula Renault. Il test andò bene e mi sono ritrovato a fare il campionato invernale della medesima serie. Da un evento negativo, quindi, arrivò come conseguenza l’opportunità di anticipare il “salto” alle vetture da competizione, che avvenne all’età di 17 anni. Penso di essermi ritrovato nel mondo dell’automobilismo al momento giusto.
Che consigli daresti a un giovane kartista?
Premetto che non sono più addentro il “mondo” dei kart, ma talvolta dall’esterno ho l’impressione che si sia un po’ persa, o perlomeno ridotta, quella grande passione che caratterizzava il kart alcuni anni fa. I motivi? Possono essere diversi, ma penso che molti giovani piloti vivano l’esperienza kartistica con un approccio da pilota professionista, forse eccessivo. Si è smarrita una certa semplicità e genuinità forse. Io mi ricordo che quando gareggiavo pulivo il kart con il mio meccanico, con il quale trascorrevo molto tempo anche in faccende semplici ma pur sempre importanti. Ovviamente, ripeto, sono esterno al mondo kartistico e non voglio generalizzare. Parlando ai giovani piloti di qualunque classe, senza dubbio un consiglio è quello di dare sempre il proprio meglio, non sentirsi mai troppo appagati, essere sempre aperti ad apprendere, a migliorarsi. La “fame” di conoscenza e la voglia di coronare i propri sogni sono risorse di valore inestimabile in questo mondo.
Credi che i giovani di oggi inizino a sognare a correre nel WEC oltre che nella Formula 1?
Diciamo che il ritorno della Ferrari nel WEC e la vittoria a Le Mans hanno dato un grande stimolo a tutto il mondo dell’endurance. Vedo che c’è sempre più interesse sia a livello mediatico che a livello di conoscenza diffusa per quanto riguarda le corse di durata. Sempre più piloti vogliono venire a correre nella classe Hypercar. Quindi direi di sì, risposta affermativa.
Giri ancora in kart ogni tanto?
Mi capita poco purtroppo perché ho tanti impegni sportivi essendo un pilota ufficiale Ferrari, inoltre considerato che il mio lavoro è quello di correre per il Cavallino Rampante, tendo a evitare altre attività che possano in qualche modo essere causa di possibili infortuni, questo soprattutto se sei nel mezzo della stagione iridata. Quando però mi capita di girare mi diverto come un bambino!

 

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